Segnali di ripresa dopo il lungo inverno. Il cemento “verde” torna a fiorire, ora si può sperare che arrivi la primavera dell’economia

POLE POLITIK di MARCO BRUNACCI | Il 28 giugno data da incorniciare per Colacem, una svolta (con la transizione ecologica) che diventa il primo fondato motivo di ottimismo in vista della ripartenza della piccola Umbria, bisognosa di tutto e di più. Se riparte il ciclo dell’edilizia, annessi e connessi, si può sperare in un decennio virtuoso

di Marco Brunacci

PERUGIA – Se aspettate che arrivi la ripresa in Umbria e un nuovo clima di ottimismo economico, segnatevi questa data: 28 giugno 2021.

Cos’è successo? L’azienda umbra, tra i leader nazionali del cemento, la Colacem, ha aperto nuove linee di credito, sostituendo le precedenti, per le quali aveva dovuto offrire in garanzia al sistema bancario italiano alcuni dei suoi importanti asset immobiliari. Il che significa che è iniziata una nuova stagione, che il lungo inverno del ciclo del cemento e dell’edilizia è terminato.
Bene, si obietterà: congratulazioni ai proprietari (la famiglia Colaiacovo), felicitazioni per i fornitori e i tanti lavoratori del gruppo, e poi finisce qui. Sbagliato.
Il segnale invece è forte e chiaro, vale per l’Italia, figurarsi per la piccola Umbria, bisognosa di tutto e di più. Vuol dire che è tornato il cemento e non deve essere più considerato una cupa minaccia al bel vivere, a contatto con la natura.
Significa che si stanno cominciando a fare infrastrutture indispensabili per la ripresa, che per l’Umbria sono vitali.
Significa che la gente è tornata a ristrutturare abitazioni e capannoni, sull’onda di incentivi governativi che sono azzeccati e che permettono di qualificare un patrimonio e rendere più belle e vivibili le città, nel rispetto delle norme, ormai fatte proprie dalla gran parte dei comuni italiani e umbri, che prevedono le più stringenti limitazioni – se non proprio il divieto – del consumo di suolo.
Significa che il comparto dell’edilizia dopo un passaggio in un inferno dantesco di fallimenti di imprese, cancellazioni di lavori, licenziamenti di dipendenti, rivede l’orizzonte con qualche fondata speranza, con la possibilità di creare anche nel comparto, ricchezza e occupazione. Dopo anni (magari in Umbria anche di eccessi) si torna a lavorare.
Significa – sia concesso – che probabilmente quelle due parole – “transizione ecologica” – spesso scambiate per un magico mantra senza un solido fondamento, stanno diventando invece carne e sangue della ripresa. Per spiegare ancora meglio: proprio perché si tratta di una “transizione” è fatta di lavori pesanti per arrivare al mondo più immateriale, digitale, “ecologico”, al bello che dovrà venire, ma che per questa fase deve passare.
Lo dicevamo qui su City journal, dando l’importanza dovuta al rilancio dell’Ingegneria civile e ambientale promossa dall’Università di Perugia: se il futuro è digitale, se è fatto di strutture lievi, immateriali, il presente è adeguamento in senso ecologico di vecchie strutture e creazione di nuove rispettose dell’ambiente e del suo equilibrio, disinquinamento dove necessario (pensate ai siti dell’acciaio), edilizia futuribile al posto di quella che imbruttisce il creato.
Infine, facendo due conti terra terra, contribuisce all’ottimismo, sopra ogni altra considerazione, il discorso che il patriarca di Colacem, da sempre protagonista, pregi e difetti, dell’economia umbra e nazionale, Carlo Colaiacovo, fa da anni.
Inutile girarci intorno – dice il patriarca – non si conosce ripresa economica senza il ciclo dell’edilizia a cominciare dal cemento. Se il comparto riparte tutto gira, finchè resta fermo vuol dire che il motore dello sviluppo ha bisogno di un buon meccanico, altrimenti non ingrana.
E poi ancora (ecco perché il 28 giugno è una data che per l’economia della piccola Umbria va sottolineata in rosso sul calendario): il cemento va a cicli, solitamente di dieci anni. Quello negativo – dice – è durato anche di più, ma ora, dopo il lungo periodo delle vacche magre, non è temerario attendersi un periodo diverso, meno nefasto, altrettanto lungo.
Allora, iniziate a contare: il 2021 è il primo anno della nuova era, perciò fino al 2030 saranno vacche grasse (o almeno non patite)?
Prima di lasciarsi andare all’ottimismo, ci sono due elementi da considerare: gran parte delle opere iniziate fanno parte del Pnrr e vanno rendicontate entro il 2026. Quindi il ciclo positivo potrebbe procedere più spedito, ma protrarsi meno nel tempo.
E poi c’è l’incognita – che è la grande sfida – di quanto gli incentivi alla ripresa, messi in campo da Europa, Governo nazionale e Governo regionale, riescano a indurre ripresa autonoma, indipendente dagli aiuti generosamente erogati in favore delle imprese. Per dirla con un’immagine di scuola: il cavallo non solo deve bere (e pare sia quello che sta facendo), ma deve anche mettersi a correre.
Non stiamo a ripetere quanto sia delicato il momento per la piccola Umbria bisognosa di tutto e di più.

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