di Vittoria Epicoco
PERUGIA – Se la Warner Bros. stava cercando un modo per far imbestialire i fan più sfegatati di Space Jam (quello vero!!!), beh… c’è decisamente riuscita.
New legends era già stato distribuito nelle sale statunitensi a luglio 2021, per poi arrivare in quelle italiane dal 23 settembre dello stesso anno, e non è un mistero il fatto che la critica lo abbia smontato pezzo per pezzo, definendolo solo un espediente per riportare in auge dei Looney Tunes che sembrano oramai dimenticati. Vedere per credere!
Se, a distanza di venticinque anni, si intende creare il sequel di un film che è diventato un vero e proprio cult per la generazione di quegli anni, il pubblico, inevitabilmente, non può che spaccarsi in due realtà: gli affezionati, gli eterni “quanta nostalgia degli anni Novanta” o “ma che ne sanno i Duemila”, e coloro che, invece, non faranno troppa resistenza al cambiamento ma, anzi, gli vanno incontro anche con un certo entusiasmo; in entrambi i casi, però, ci sarà un minimo comune denominatore: l’aspettativa. Sia gli uni, e ancor più gli altri, avranno nutrito enormi aspettative; da un lato per vedersi confutare quel cinismo che li rende ostili al nuovo progetto, dall’altra per quell’entusiasmo forse eccessivamente animato.
Ma cosa non è andato in Space Jam: new legends? Semplicemente tutto.
Il leitmotiv dell’ambizioso progetto è “forzato”; tutto qui è forzato. Già solo la presunzione di voler proporre uno Space Jam in chiave moderna con un protagonista che non fosse MJ (Michael Jordan), voleva dire imbattersi in un percorso ad ostacoli di cui non si conoscesse forma, sostanza, altezza, lunghezza.
Forzato è l’incipit, chiaro richiamo alla pellicola del 1996, nel quale il coach – che allora era il padre – si assume la responsabilità morale di dare una spintarella per quella che sarà poi la trasformazione di “Bron” in The King, come oggi è conosciuto. Il modus è il medesimo, salto temporale fino ai giorni nostri, per trovare un James marito e padre di famiglia, non troppo bravo nel suo ruolo di padre e che tende a commettere un errore che molti altri genitori commettono: pretendere che i figli seguano le stesse orme. Ma Dom, il secondogenito, una vocazione ce l’ha e non è la pallacanestro, bensì il mondo hi-tech e dei videogame, dal quale lo stesso Lebron era stato allontanato perché considerato una distrazione e un ostacolo alla sua realizzazione professionale. Un mondo che papà Bron non comprende ma che entra in netto contrasto, invece, con il suo essere di fatto un personaggio social a tutti gli effetti, oltre che uno sportivo di talento. Il contrasto padre-figlio, o meglio, il contrasto tra il mondo del padre e quello del figlio è un po’ il filo conduttore della vicenda, sulla quale gli autori hanno cercato al meglio – riuscendo al peggio – di costruire un valido sequel al film del 1996.
Forzato, per non dire -issimo, è l’espediente utilizzato per catapultare the King nel simpatico (?) mondo dei Looney Tunes. Il tutto attraverso un’intelligenza artificiale (qui interpretata da Don Cheadle) che, non si è capito bene come né perché, sembra essersi fissata con Lebron, tanto da volerlo in qualche modo disturbare, intaccare nella sua integrità e – sorpresa, sorpresa! – la merce di scambio è una partita a pallacanestro nel server-verso: la vittoria per riavere suo figlio indietro (che nel frattempo si è dissolto nel nulla senza motivazione alcuna), una partita giocata all’interno del videogioco ideato dallo stesso Dom, cioè le regole base ma con “il suo tocco”.
Avanti veloce. La critica si è espressa all’unanimità sul fatto che questa sia stata, più che altro, una mossa di marketing per ridare spazio ad un mondo via, via dimenticato: quello dei Looney Tunes (perché sulle capacità attoriali di Lebron James è meglio non esprimersi, dopotutto è un giocatore di basket, e a quello si sarebbe dovuto limitare). Ed è un mondo, in effetti, nel quale il coniglio del “Hey, che succede amico?”, Bugs Bunny, sembra aver perso il piglio, la brillantezza, un cartoon che non ha più alcuna storia da raccontare, che sì, sa infilare sotto al sette ancora qualche battuta ilare, ma niente di più.
Space Jam 2021 è tante luci, spettacoli pirotecnici, giravolte, schiacciate e anche qualche canestro che lascia col fiato sospeso, ed è chiaro che tutto il film si catalizzi nell’unico focus di arrivare ad una partita di pallacanestro letteralmente stra-ordinaria, e lo fa con espedienti decisamente confusi, in cui anche il doppiaggio lascia molto a desiderare, tanto è fatto male.
Ma Space Jam 2021 è anche confusione, tanta confusione, un collage di frame messi a casaccio, utili solo a spiegare com’è che la Tune Squad si sia riunita – e comunque mica l’abbiamo capito.
Un buco nell’acqua grande come una voragine… Warner Bros., non ci siamo proprio!