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L’Umbria ha resistito alla crisi, la sesta miglior regione in Italia. Non succedeva dal 2008. Le basi per ripartire? Flessibilità, green, blue economy

POLE POLITIK di MARCO BRUNACCI | Uno studio dell’Istituto Tagliacarne per Unioncamere certifica il risultato: -6,6% di perdita del valore aggiunto tra 2019 e 2020 rispetto alla media nazionale (-7,1) e di quella del Centro Italia (-7,3%). Ma ora, per mantenere il ritmo, il Pil deve crescere più del 4% finora stimato per il 2021

di Marco Brunacci

PERUGIA – Buone notizie sull’Umbria, anche se non sempre il percepito è uguale al reale. Questo è un problema per la politica – ma alla fine sono problemi dei politici – però anche dell’economia, perchè se le buone notizie non vengono percepite come tali, la fiducia non cresce. Ed è utile ricordare ancora una volta che la fiducia è fondamentale in questa fase di transizione verso una ripresa che tutti si attendono duratura e di lunga gittata.

Allora: l’istituto Tagliacarne per Unioncamere (le Camere di commercio italiane) segnala che l’Umbria è risalita al sesto posto nella classifica delle regioni italiane per variazione del valore aggiunto tra il 2019 e 2020. Non succedeva dal 2008. E proprio dal 2008 è iniziata la fase critica del Pil dell’Umbria, che è calato quando calava quello nazionale ma non ha dato nessun segnale di ripresa quando la ripresa si è avvertita, soprattutto al nord.
La crisi del 2008, arrivata in Italia con un anno di ritardo rispetto ai crack bancari Usa, ma ugualmente cruenta, ha fatto sentire in questi anni i suoi effetti, attenuati dalle politiche espansive delle banche centrali e su tutti dal “whatever it takes” di Mario Draghi quando era leader della Bce.
Il Covid, lo segnala la ricerca dell’istituto Tagliacarne per Unioncamere, ha reso più pesanti gli effetti di quella crisi, in particolare in Paesi che non hanno avuto una strategia coerente di ripartenza.
Ora ci si gioca il futuro tra 2021 e 2022. Ma partendo da quanto si è perso proprio in termini di valore aggiunto pro capite, quindi dalla rilevazione dell’Istituto Tagliacarne.
Che cosa dice lo studio di così importante per il futuro? Che le aree che hanno reagito meglio al Covid sono quelle che nelle quale c’è una maggiore incidenza sul reddito proveniente dal settore pubblico. E questa non è una bella notizia in generale, perchè dice che l’Umbria – che ha ceduto solo il 6.6% rispetto alla media del centro Italia che è del -7,3 e a quella italiana che è del -7,1% – deve parecchio alla presenza massiccia della pubblica amministrazione. Poco privato, tanto pubblico.
Dice anche, per la verità, che qui il pubblico (in questo caso, Regione e altri enti locali) ha, per quel che poteva, saputo essere più vicino di altri ai cittadini, con politiche adeguate di sostegno del reddito.
Ma Unioncamere sottolinea come un’altra caratteristica che ha permesso all’Umbria di cedere meno rispetto ad altre regioni sia dovuta alla presenza di microimprese con una maggiore capacità di adattamento alle tempeste del mercato. E questa è una buona notizia per il futuro. La ricerca dice anche che le aree che hanno meglio resistito mostrano una più elevata concentrazione di imprese che investono nel “green” e che sono caratterizzate da una forte importanza della “blue economy”. Ecco un’altra direttrice sulla quale investire e puntare.
In ogni caso il risultato dell’Umbria (un arretramento solo del 6,6%%) è comunque positivo. Per chi avesse il piacere dei numeri, due dati: la produzione di ogni dipendente di un’impresa privata a Perugia nel 2020 è valsa in media 23.984 euro, mentre a Terni si ferma a 21.638. Va notato che Terni scende del 6,5, mentre Perugia del 6,6, determinando la media regionale.
Qui si innesta il dibattito per il prossimo futuro. Il 4% di crescita del Pil nel 2021 viene dato per acquisito per l’Umbria. Non è sufficiente per stare al passo col resto del Centro Italia, ma sono molteplici i fattori che fanno immaginare una crescita superiore. Di quanto? Se si considera che la Toscana viaggia oltre il 5%, sarà necessario uno sforzo speciale in questi ultimi mesi dell’anno e una chiara svolta nell’anticipare gli investimenti produttivi, magari anche se non sono ancora arrivati gli attesi fondi del Pnrr o dell’Europa.

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