di Luca Ceccotti
TERNI – Conoscete la maledizione di Uncharted? Nulla a che vedere con il videogioco, che con le sue 29 milioni di copie vendute in tutto il mondo e il plauso unanime di critica e pubblico resta una delle saghe più amate del medium. L’anatema è (o meglio, era) appannaggio esclusivo dell’adattamento cinematografico, rimasto a lungo – circa 10 anni – in un limbo produttivo e passato di mano in mano a qualcosa come 5 registi e 3 sceneggiatori differenti. Cinematograficamente parlando, specie per un titolo mainstream, una situazione simile è l’anticamera dell’insuccesso, chiaro e semplice. Uncharted sembrava un film semplicemente dannato da principio, manzoniano “non s’ha da fare” che poi in un modo o nell’altro si è fatto, seppure con risultati claudicanti.
Confezionato e pronto per la sala, Uncharted è infatti realtà, pronto ad arrivare al cinema il 17 febbraio. La firma è quella di Ruben Fleischer (Zombieland, Venom), il volto del Nathan Drake in carne e ossa quello di Tom Holland, sulla cresta dell’onda grazie allo Spider-Man di casa Marvel. Il primo un regista competente e con un occhio virtuoso per azione, commedia e avventura – quando voglioso. Il secondo un interprete oggi come oggi difficile da non confondere sempre con il suo Peter Parker, eppure talentuoso, performer dalle grandi doti fisiche, agile e muscolare nonché emotivamente trascinante. Alla fine, insomma, poteva andare peggio. Ma com’è, di fatto, questo Uncharted?
Vista in anteprima qualche giorno fa, la trasposizione del videogioco Naughty Dog si dimostra centrata e pertinente con atmosfera e toni dell’opera originale, seppure non sia adattamento diretto di uno dei cinque racconti a disposizione, più un collage tra vari elementi narrativi messi insieme per creare una vera e propria storia d’origini. L’intenzione è quella di ampliare il franchise con una saga cinematografica. Tutto parte da questo primo capitolo, che racconta del primo incontro e della prima missione tra Nathan Drake e Victor Sullivan (Mark Wahlberg). Devono rintracciare parte della chiave per raggiungere le perdute navi di Magellano, dovendosela vedere con un discendente della famiglia che finanziò il viaggio dell’esploratore e una serie di sanguinari mercenari senza scrupoli. Fin qui è Uncharted fino al midollo, se non fosse che la maschera estetica cade velocemente davanti all’inadeguatezza delle scrittura, piena d’ironia assetata di sagacità che a volte non lascia scampo all’imbarazzo, a un incedere narrativo senza sorprese, privo per altro della gioia dell’intermezzo giocato ed esplorativo.
Un ciclo, per altro, dove il cinema (Indiana Jones su tutti) ha ispirato il videogioco e poi il videogioco è tornato al grande schermo. L’espressione cinematografica del film, purtroppo, risente della grandezza dei titoli per Playstation, già di per sé ricchissimi di momenti stupefacenti e di grande impatto cinematico. Anche qui ci sono – due per l’esattezza – e fanno il loro dovere, sorprendendo sinceramente e intrattenendo come si deve, ma è come se attorno a queste due macro-sequenze d’azione non ci fosse nulla se non una piccola ricerca nemmeno così sorprendente (a fattori uguali, scena simile la vinceva meglio un bellissimo episodio di Lovecraft Country su Sky) e la voglia di imitare il vero Uncharted, non quella di impacchettare un prodotto valido a prescindere. Manca una firma d’autore, la volontà di donare reale carattere a una trasposizione divertente e mediamente appassionante che manca però di personalità, inaccostabile alla grandezza toccabile dei picchi drammaturgici di genere dei videogiochi.
All’interno del film, comunque, diverse citazioni sparse qua e là e un Antonio Banderas di cui non si capisce il senso. Come andrà ai botteghini resta un mistero, considerando il periodo, ma un sequel non dispiacerebbe affatto, specie guardando alle premesse e alle promesse. Al momento è un sì con troppe riserve e troppo importanti.


