di Francesca Cecchini
PERUGIA – «Quello che più mi ha infastidito è stata la derisione. Quello che più mi ha fatto arrabbiare è stata la mancanza di rispetto. Quello che più mi ha intristito è l’aver capito che la pandemia non ci ha insegnato molto». Queste le parole di Cristina che, racconta a Umbria 7, pochi giorni fa entra a fare la spesa in un supermercato di Perugia, dove è un’habitué, e incontra una vecchia conoscenza, da lei sempre considerata «una donna di cultura che, per definizione, è una mente aperta e non atta a giudicare».
Ancor prima di rispondere al saluto di Cristina, la donna scoppia a ridere e le dice di togliersi la mascherina: «Mi guardava ridendo quasi con le lacrime agli occhi, come se fossi la persona più ridicola del mondo». Già, perché Cristina in quel negozio, seppur non più obbligatoria, è entrata indossando una ffp2.
«È un’abitudine. Ognuno di noi ha vissuto questi due anni in diversi modi. Alla mia famiglia, purtroppo, è capitato di viverlo in atmosfere molto buie. Ho perso una vecchia amica per via del covid e mia madre è rimasta in bilico fra la vita e la morte per diversi mesi, tra Perugia e Terni, senza che io potessi mai accarezzarle la mano. Vivevo tutti i giorni come fosse l’ultimo, con la paura di non poterla mai più abbracciare, ed ero appesa al filo di un telefono giorno e notte in attesa di un messaggio del personale sanitario. Potevo soltanto vederla ogni tanto in video chiamata, all’inizio, grazie alle infermiere e ai medici che, nel momento peggiore della pandemia, nonostante il lavoro impegnativo che li lasciava senza respiro e riposo, trovavano comunque il tempo per una veloce call, coscienti del dolore provato dall’altra parte dello schermo. Mio e di molte altre persone. Questo finché mia madre non è peggiorata ed è stata messa in coma farmacologico. Sono stati mesi terribili, Mesi in cui sembrava non esserci una via d’uscita. Mia madre ce l’ha fatta. Ma in tanti non hanno avuto la stessa fortuna».
Cosa le ha dato più fastidio?
«Essendo una persona fin troppo educata, ho fatto buon viso a cattivo gioco e, mantenendo la calma anche davanti a tanta arroganza, ho spiegato a questa donna che, nonostante non fosse più obbligatoria, preferivo indossare la mascherina. Sarà mio diritto? Faccio forse del male a qualcuno? A prescindere dalla mia esperienza familiare con il covid, in questi due anni in casa mia, né io, né i miei tre figli, né mio marito, abbiamo mai avuto influenze o virus di altro genere. Quindi, alla fine, entrare in un luogo dove ci sono molte persone e tenere la ffp2 non mi pesa. Può avere la sua utilità anche fuori pandemia. Lei ha continuato a insistere con il suo concetto dichiaratamente “no vax” parlando di “voi che vi siete fatti abbindolare”, “voi matti che vi siete fatti il vaccino”, “noi che abbiamo preso il covid e abbiamo il green pass senza esserci inoculati del veleno”, “noi che siamo in grado di ragionare”, “voi che siete delle pecore”. Queste espressioni, pronunciate da una donna di cultura, sempre a contatto con molte persone, mi hanno lasciato allibita. Il principio dell’apertura mentale e del rispetto degli altri e delle diverse opinioni che ho sempre associato alla cultura è venuto a cadere».
Inutile dirle, sempre pacatamente, che Cristina invece, nonostante ciò che ha vissuto con la madre, rispetta, seppur a fatica in quel momento, visti i toni della sua interlocutrice, la scelta personale di ognuno di noi: «Credo sia giusto che una persona abbia la facoltà di scelta. Ho lasciato scegliere anche i miei figli. Il vaccino non era obbligatorio e ho detto loro che qualunque fosse stata la loro decisione, l’avrei rispettata. Se non avessero voluto vaccinarsi, avremmo fatto tamponi, come tante altre persone e rispettato le norme comunque».
Come è riuscita a chiudere la conversazione?
«Non l’ho chiusa. Lei continuava a farneticare di un semplice virus e di cittadini stupidi che si ammaleranno dietro le loro mascherine per mancanza di ossigeno. Intanto io continuavo a ripensare all’immagine di mia madre con la maschera d’ossigeno, persa dietro a chissà quale incubo. Ho guardato oltre. Le ho voltato le spalle e me ne sono andata lasciandola sola nel suo fantomatico sproloquio».
E le persone che erano all’interno del supermercato?
«La maggior parte di loro indossava la mascherina. C’era anche qualcuno senza, come è suo diritto. Nessuno è intervenuto, ma gli sguardi bastavano a colmare il silenzio. Tutti erano lì ad ascoltare il delirio di una donna che non sapeva argomentare ciò che asseriva. Incapace di portare rispetto a chi, al contrario, gliene porta per le sue scelte. Spero che i no vax non siano tutti così».
Uscendo dal supermercato «la cassiera mi ha ringraziato perché, secondo lei, portare la mascherina in questo momento è un segno di rispetto verso chi, come lei e le sue colleghe, tanto quanto i medici, ha dovuto sempre lavorare, anche in pieno lockdown e di paura ne ha avuta tanta».


