di Aurora Provantini
TERNI – Il 14 giugno di 26 anni fa il mondo dell’arte perdeva una personalità importante: Aurelio De Felice. Per il critico Paolo Cicchini, questa ricorrenza è l’occasione per rileggere il rapporto dell’autore con la città che gli dedica un museo, Terni, e con Orneore Metelli, il “pittore della domenica” scoperto proprio da De Felice.
«Andò forse così, quando, in quel lontano 1936, il caso noncurante fece entrare Aurelio De Felice insieme all’amico Ugo Castellani, nel bizzarro studio di Metelli, imprenditore nel campo delle calzature e artista a tempo perso». Cicchini ricorda che fu Ugo Castellani a parlare dei quadri di Metelli a De Felice. Che allora aveva vent’anni. E che scrisse di quell’incontro nel suo diario: «Ci ricevette in cantina, in quel vasto seminterrato della sua casa liberty di provincia costruita dopo il ’20. Per me Metelli fu una grande rivelazione. Mostrava i suoi quadri e spiegava che cosa avrebbe voluto raccontare con questo o quel soggetto. Ridendo sotto i baffi, specie quando mi mostrò Il prete pittore». Neanche Metelli seppe nascondere la propria meraviglia per la visita di quel giovane che studiava a Roma e che frequentava “artisti veri”. Il pittore naif ternano invece, aveva iniziato a dipingere a cinquant’anni, per sfuggire all’amarezza di non poter più suonare (ragioni di salute). De Felice, che ha lasciato un patrimonio immenso: di opere, di progetti e di visioni (a Torreorsina, frazione del comune di Terni, il grande scultore del Novecento, immaginò, e dunque realizzò, un parco pubblico popolato dalle copie in vetroresina di alcuni tra i suoi lavori più belli, come Battaglia di ragazzi, Non uccidete i nostri figli, Nascita della danza), fu il vero grande estimatore di Metelli. Il “padre”. «Metelli è stato un grande cronista della sua epoca: documentò le trasformazioni sociali e architettoniche in atto a Terni, città che, divenuta capoluogo di provincia nel 1927, necessitava di un moderno assetto viario e urbanistico con edifici amministrativi di rappresentanza». Paolo Cicchini spiega come i quadri di Metelli testimonino abitudini e trasformazioni, con “Il mercato alla fiera”, “Festa notturna”, “Parata militare”, “Visita di Mussolini”. Nelle tele di Metelli sono ritratti i palazzi e le strade, sono registrati avvenimenti e abitudini: «In alcuni dipinti il valore didascalico delle scene illustrate è rafforzato dall’inserimento di parole scritte come fumetti, a volte associate a filastrocche dialettali o partiture musicali, perché Metelli era prima di tutto un musicista». Metelli non attribuì mai valore artistico ai propri dipinti. Li mostrava di rado. Solo dopo la sua morte i suoi quadri furono esposti oltre confine, grazie a De Felice. Per Cicchini, infatti, è difficile parlare di Metelli senza raccontare il ruolo che ha avuto De Felice nella divulgazione delle sue opere pittoriche. Che non sono tantissime: circa duecento. Cicchini è un grande conoscitore di Metelli e autore insieme Maurella Eleonori del libro edito dalla Fondazione Carit, dato alle stampe in concomitanza con la grande retrospettiva dal titolo “Metelli …il racconto della città che c’era”, conclusa con numeri da record: 3.500 presenze e 70 quadri esposti, tra acquerelli, olii su tela, tavola e cartone, provenienti da collezioni private di Terni, Roma, Tivoli, Rieti e Verona. «E’ stata una impresa straordinaria mettere insieme tutte quelle opere e desumere da esse la personalità di Orneore Metelli. E tutto questo – segnala Cicchini – è stato reso possibile grazie alla sensibilità della Fondazione Carit».







