Piazza dell’Olmo, arte o architettura? Di certo anche i giapponesi volevano a Tokyo quel pezzo di Terni

Così Alessio Patalocco racconta a Umbria7 le notti passate a elaborare il progetto che stupì anche l’Oriente

di Alessio Patalocco

TERNI – Quando presentai il progetto per la nuova piazza dell’Olmo al World Congress of Architecture organizzato dall’Union international des architectes a Tokyo, i colleghi americani e giapponesi mi chiesero se l’intervento fosse di carattere artistico o architettonico.

Non seppi rispondere: dopotutto mi avevano invitato a presentarlo insieme ai “muri rosa” che avevo realizzato (la presentazione si chiamava appunto “pinklandscapes”) e le strutture dell’International Forum di Tokyo mi facevano sentire in imbarazzo al confronto.
E comunque ho sempre pensato che non ci sia alcuna differenza tra arte e architettura.
Tra i relatori c’era anche Satoshi Okada, un noto architetto giapponese, che si complimentò soprattutto per l’esteso uso del colore rosa. Tale particolarità piacque anche ad altri investitori orientali che visitarono la piazza e mi incaricarono di redigere un progetto di rigenerazione per alcuni quartieri di Tokyo sotto il nome di “Tokyo night culture project”: questi stravaganti orientali volevano quel pezzettino di Terni in un angolo di Chiba o di Shinagawa.
Il colore, infatti, è una dimensione importante di piazza dell’Olmo, insieme alla valorizzazione del verde centrale, alla creazione delle coperture atte a definire gli spazi della movida e alla citazione del mito della notte tramite un cielo stellato sul pavimento. Soprattutto: l’opera è stata finanziata da imprese ed enti privati per l’ottanta percento, rielaborando un modello londinese di sponsorizzazione pubblico-privata utilizzato a Covent Garden.
La proposta, partita nel 2008, ha visto la luce nel 2014 grazie al coraggio e alle competenze di tante persone (tutte riportate nella cronaca di allora) che accompagnano piacevolmente i miei ricordi: nottate passate non solo a disegnare ma anche a discutere cogli investitori privati, a difendersi dalle critiche e a schivare i tentativi di sabotaggio da parte dei colleghi, ad inviare lettere, mail e messaggi in continuazione. Alla fine, però, è arrivata la soddisfazione del cantiere realizzato.
Il progetto ha preso diversi riconoscimenti ufficiali in ambito architettonico ed è stato pubblicato in diverse riviste esportando il nome della nostra città in Italia e all’estero. Il sistema di partecipazione economica è stato applicato anche in altre situazioni: va perfezionato ma risulta abbastanza efficace. Quello che resta di questa esperienza è, oltre alla piazza stessa e alla soddisfazione di aver fatto qualcosa di positivo per la propria comunità, comunque il valore di questa operazione: la piazza potrà anche subire modifiche nel tempo (accade perfino ai monumenti!) ma lascia intatta la presenza di spirito di una iniziativa che ha offerto comunque un’alternativa seria e concreta allo sviluppo delle aree urbane in tempo di crisi economica.

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