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Quanto spendono gli umbri per i farmaci? Ecco tutti i numeri veri

Una media regionale un po’ più alta da sempre, ma in un contesto di popolazione anziana da record e una grande incidenza di disabilità. Verso i 15 milioni di spesa per i farmaci di fascia C

di Pino Giordano

PERUGIA – Che la recente circolare dell’11 ottobre 2022 del Dr. Massimo D’Angelo, Direttore dell’Assessorato Salute e Welfare della Regione Umbria, potesse sollevare dissensi e proteste , non era difficile prevederlo. Ci sono state proteste formali ed ufficiali da parte di Ordine dei Medici, di Farmindustria e Federfarma, Cittadinanza attiva, e di altre componenti sociali e politiche. E se ne è avuto un’eco anche su qualche organo nazionale.

Anche volendo non è facile ne semplice entrare nei particolari delle questioni che sono oggetto della nota regionale poiché sia la DGR 305 del marzo scorso, che ne costituisce la matrice, e sia la stessa circolare di D’Angelo, trattano problematiche complesse non solo di prevalente interesse sanitario e che, in parte, deve tenere conto di scelte nazionali.

Alcune certezze

Alcuni elementi di certezza però ci sono ed è utile preliminarmente accennarne e tenerne conto: a) L’Umbria è tra le prime regioni per alto tasso di popolazione anziana e, quindi potenzialmente necessaria di cure, e per tale motivo riceve una quota aggiuntiva del Fondo Sanitario Nazionale (si chiama popolazione pesata); b) L’Umbria è la regione con il più alto tasso di popolazione con malattie croniche (46.6% pari a 409.000 abitanti) dati del Rapporto CENSIS 2020; c) L’Umbria negli ultimi anni, dal 2019 in poi (periodo preso in esame) sostanzialmente, pur presentando una spesa media pro-capite leggermente superiore a quella delle regioni limitrofe (Lazio, Marche, Toscana) ed alla media nazionale, è in linea per quanto riguarda la spesa farmaceutica convenzionata, mentre mantiene livelli più elevati ( non è la sola, in verità), con range di scostamento anche sensibili, per la spesa farmaceutica specialistica, in crescita, come si vede dal 2020 – ma non solo in Umbria- (c’entra il Covid?) per quella quota di farmaci ad acquisto diretto da parte delle ASL, sia per i farmaci della fascia A (farmaci essenziali previsti dai LEA e pertanto a totale carico del SSN) e sia della fascia H (farmaci ad uso ospedaliero e/o distribuiti direttamente dalle ASL e non vendite in farmacia). Ed è anche in costante aumento (l’incremento dal 2019 al 2022 è tendenzialmente di un più 50 per cento) la quota di risorse per i farmaci della fascia C, quelli non rimborsati dal SSN e quindi totalmente a carico dei cittadini.

Alcuni Dati

Nelle Tabelle I-IV (Fonte AIFA sul monitoraggio della spesa farmaceutica dell’AIFA, Agenzia Italiana del Farmaco) sono riassunti e schematizzati i valori della spesa convenzionata, della spesa della quota acquistata direttamente dalle aziende, della quota pagata direttamente dai cittadini e della quota dei tickets in valori assoluti ed in per cento. I dati relativi agli anni 2019-2021 sono riferiti a tutto l’anno mentre quelli relativi al 2022 sono riferiti solo al primo quadrimestre (Gennaio-Aprile). Di un certo interesse è l’analisi delle risorse destinate alla quota di farmaci della fascia C (pagati direttamente dai cittadini e non rimborsabili) in costante aumento e con una media di circa 12 milioni l’anno, e delle risorse, consistenti, destinati al pagamento della quota ticket che raggiunge livelli di circa 30 milioni l’anno. Ciò significa che gli umbri per curarsi, oltre alle quote a carico del SSN, escono dalle proprie tasche più di 40 milioni l’anno. La Corte dei Conti, peraltro, ha rilevato che nel 2018 la quota ticket in Umbria è stata di circa 54 milioni di euro.

La nota regionale

Ma torniamo alla circolare del Direttore D’Angelo che ha per oggetto “urgenti misure di razionalizzazione della spesa farmaceutica” rivolta ai Direttori Generali delle quattro Aziende Sanitarie dell’Umbria (ASLumbria 1 e 2, Azienda Ospedaliera di Perugia e Terni). In essa si cerca di affrontare alcune problematiche ed alcune importanti criticità in termini più globali e strutturali e con impegni di lungo periodo (acquisti centralizzati regionali, integrazione tra aziende ASL ed aziende ospedaliere, valutazione di costi complessivi per le apparecchiature).
Da alcuni importanti settori sono stati espressi, dal mondo delle professioni (farmacisti e medici soprattutto), forti perplessità preoccupazioni, anche di natura etica e deontologica, su alcuni punti specifici della nota regionale: Il primo è quello che prevede di assegnare agli specialisti tetti di spesa ridotti fino al 25 per cento rispetto al 2021 per alcune branche specialistiche (reumatologia, dermatologia, gastroenterologia e nefrologia), discipline che trattano anche patologie autoimmuni. E’ ovvio che o si è in presenza di elementi certi (non sarebbe inopportuno, in ogni caso, socializzarli) che dimostrano che in queste aree c’è una quota importante di inappropriatezza e di spreco o c’è il rischio concreto di non curare bene un cittadino umbro su quattro affetto da tali patologie. Il 25 per cento non è poca cosa e ci si assume una grossa responsabilità. Il secondo è quello in cui si prevede di affidare solo ai farmacisti e non anche ai medici il monitoraggio delle prescrizioni. E’ banale rilevare che è il medico che ha in cura i pazienti ed è il professionista che ne decide le terapie e quindi escluderlo da un processo di monitoraggio sembra irragionevole ed improduttivo. Sarebbe invece opportuno riorganizzare molte attività cliniche prevedendo un coinvolgimento più diretto e costante anche della professionalità del farmacista nella gestione di una strategia terapeutica e non nella fase del controllo. Il terzo è quello in cui si fa riferimento (minaccia? ricatto?) ad un possibile danno erariale perseguibile dalla Corte dei Conti nel caso di un eventuale “mancato rispetto dei tetti di spesa o delle disposizioni regionali da parte delle direzioni aziendali” (ma i direttori generali, quasi sempre con lauree di tipo giuridico o economico, come faranno ad essere responsabili di processi di cura a cui sono estranei e per i quali sono incompetenti?).
Etica della Sostenibilità

Il primo ed il terzo punto, come si vede, sono in un larga parte interconnessi. Alla base evidentemente c’è una logica anche economicistica (che già il CENSIS denuncio parecchi anni fa parlando di “persistente dittatura dell’economicismo”) che in sanità potrebbe avere effetti devastanti sia sul piano del diritto alla salute per come garantito dalla Costituzione e sul piano della quantità e qualità delle cure.
Altra cosa è la “sostenibilità” che non può non tradursi che in “appropriatezza”. La sostenibilità, in ogni caso, è sempre il risultato di una scelta ed è il perseguire alcune priorità piuttosto che altre. In Sanità, l’unico modo vero, infatti, per evitare sprechi ed ottimizzare le risorse, non è tento quello di fissare “tetti di spesa” a tutti i livelli, nazionale, regionale, aziendale, distrettuale e chi più ne ha più ne metta, ma piuttosto quello di perseguire sempre una maggiore appropriatezza sia nelle prescrizioni (medici, farmacisti ed anche pazienti) ma sia anche, se non soprattutto, a livello organizzativo.
Le risorse (purtroppo quasi sempre insufficienti e sempre più scarse) sono spese bene , non quando se ne spendono poche, ma quando sono utilizzate nel migliore dei modi. Essere appropriati significa essenzialmente “far bene le cose giuste al momento giusto”. Solo l’appropriatezza, infatti, è garanzia di efficacia, di efficienza, di tutela della salute. Ed è anche etica e deontologia per tutti e di tutti: amministratori, professionisti e cittadini.

sellano

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