di Marco Brunacci
PERUGIA – La produttività in Umbria batte un colpo e dà un segnale di inversione di tendenza. Niente di travolgente, legato ai dati del 2022, non con la possibilità di fare ampi raffronti e aprire rassicuranti scenari, ma comunque da considerare un successo, pur con i limiti che ha.
E allora: un momento di attenzione per una questione delicatissima che da sempre è uno dei talloni di Achille dell’Umbria e della sua tenuta economica, oltre che della capacità di essere attrattiva per le sfide future.
La produttività è lo snodo, qui sta il limite e qui può esserci la svolta. Considerando poi anche la dinamica demografica e il perdurante inverno delle nascite, “l’incremento della produttività – come segnala nel suo studio, a firma di Elisabetta Tondini e Mauro Casavecchia, l’Aur, Agenzia regionale delle ricerche – “continua a rimanere uno degli obiettivi principali da perseguire, non solo in Umbria, visto che da decenni costituisce il vero nodo della competitività nazionale”.
Pronti a un brevissimo cenno storico: “Nel lungo periodo (1995-2022), la produttività del lavoro della regione ha subito una flessione secca del -13,4% (contro il +2,2% nazionale), seguendo un ritmo reale medio del -0,5% annuo (0,1% in Italia). Il livello umbro, che negli anni Novanta superava ancora quello del Paese, a partire dal nuovo millennio si è portato al di sotto, allontanandosene progressivamente almeno fino al 2014. Negli anni seguenti il divario è rimasto pressoché stazionario”.
Ma ecco il fugace raggio di sole che però va colto al volo: “Nel 2022, l’ultimo anno per cui l’Istat fornisce i dati di contabilità territoriale (per quanto ancora provvisori), l’Umbria registra un aumento in termini reali del 2,9% (Italia 1,9%), riportando il livello a 88,7 (con Italia=100), per una forbice di 11,3 punti. È la distanza più piccola dell’ultimo decennio: bisogna infatti andare indietro al 2013 per trovare un valore leggermente più alto (88,8)”.
Evviva. Anche se – mettono in guardia i ricercatori – “l’aumento sarebbe derivato da una crescita reale del valore aggiunto accompagnata da una riduzione degli occupati interni”. Quindi un dato agrodolce.
Ma decisivo, segnala Aur, è il ruolo degli investimenti eccezionali legati al Pnrr e ai fondi europei. Una “stagione straordinaria” in quanto a interventi e risorse disponibili, sottolineano i ricercatori Aur, che ha permesso di mettere le basi per quello che si può immaginare essere un circolo virtuoso.
Ma qui è chiara una cosa: il pubblico, le amministrazioni, la Regione in primis, hanno messo a disposizione fondi in quantità probabilmente non ripetibile (Pnrr e altro). Sta al mondo delle imprese trasformarli in un volano di crescita altrettanto straordinario.
Restano in ogni caso nodi strutturali molto seri. La piccola dimensione delle aziende umbre, il fatto che qui si investe in settori come il commercio e le costruzioni, i quali non sono certo quelli ad alta produttività.
Per una volta che arriva però il segno più, questo segno va sottolineato e apprezzato. Sperando che sia un inizio.


