di Marco Brunacci
TERNI – Nuvole nere nel cielo dell’acciaio.
Mentre la Cgil chiede che venga reso noto il testo dell’Accordo di programma sul quale si sta discutendo al Ministero con il gruppo Arvedi e che fino a un paio di mesi fa era da considerarsi una svolta per tutta la città di Terni, ecco che il clima è radicalmente mutato. Tanto che alcuni osservatori sono convinti che, tra le ipotesi in campo, ci sia anche quella di un disimpegno del gruppo Arvedi da Terni.
Possibile che sia così deteriorata la situazione? Umbria7 ha detto e ripetuto in queste ultime settimane che il quadro internazionale è da considerare minaccioso e diverso da qualche tempo fa, per cui non si intravedono più le premesse per investimenti nel settore. Ma soprattutto è sempre più pesante e gravosa la palla al piede per le imprese energivore, che è quella del costo dell’energia, non più sopportabile dal sistema italiano, penalizzato rispetto ai grandi player internazionali.
L’Italia paga troppo e troppo di più degli altri. Lo dicono e lo ripetono le imprese. Lo dice e lo ripete, senza però ottenere successi, Arvedi.
Ma ora – dopo i tanti rinvii dei mesi passati – le nuvole si addensano anche sull’Accordo di programma. I vincoli che Arvedi dovrebbe accettare e gli impegni che dovrebbe sobbarcarsi per ottenere i circa 300 milioni di finanziamenti pubblici (a fronte di 700 milioni di investimento del Gruppo, già in corso per una parte) sembrano non più giustificati dalla attuale situazione di mercato.
Ecco perchè la voce del disimpegno del Gruppo da Terni, che in ambiente romani gira con qualche insistenza, è difficile da frenare. Ci sono invece indicazioni venute nei giorni scorsi che dicono cose
comunque molto preoccupanti. È stata Umbria7 a paventare la chiusura della lavorazione a caldo nello stabilimento ternano.
Questo significa, in soldoni, 400-500 posti di lavoro che saltano, con il conseguente inizio di una complessa trattativa, non più per il rilancio del sito produttivo, ma per gli ammortizzatori sociali, e una prospettiva radicalmente diversa per il futuro: uno stabilimento di produzione dell’acciaio deve prevedere anche il “caldo”, altrimenti le prospettive sono di breve periodo, comunque incerte e molto legate ai rovesci di mercato.
Per altro il business plan di Arvedi si conosceva. E’ arrivato a Terni con un progetto di grande respiro. Oggi tutto è rivoluzionato. I costi lievitati, insieme con le incertezze. E, come detto e ripetuto, non c’è alcuna proposta convincente per abbattere i costi dell’energia, un tema vitale per le imprese, per l’acciaio in particolare.
Si arriverà davvero a un disimpegno del gruppo Arvedi? Davvero nel Gruppo si stanno guardando intorno per vedere e capire se c’è un Fondo internazionale o un player di rilievo intenzionati a prendere in mano la situazione?
Forse il discorso è prematuro. Ma è sicuro che la trattativa per l’Accordo di programma all’improvviso ha cambiato pelle: Arvedi chiede impegni, nessuno sembra in grado di garantire alcunchè, nè la città e la regione, né il Governo che ha margini di manovra limitati, anche per via della vendita di Taranto in corso.
Così il dossier Ast da speranza di rilancio diventa di nuovo grande fonte di preoccupazione.


