di Marzio Vaccari
PERUGIA – Scorrendo i post mi sono imbattuto in una polemica – innescata da un ex amministratore e prontamente raccolta dagli altri – relativa alla presenza di una persona senza fissa dimora che dormiva presso la Biblioteca degli Arconi.
Ora così li chiamiamo, non più senza tetto, perchè è più elegante, così come chiamiamo i sordi non udenti, i ciechi non vedenti e così via, utilizzando la lingua italiana in modo da pacificare il nostro senso di colpa nei confronti dei meno fortunati.
Io frequento il centro storico, per lavoro, dal 1991 e ne ho visto le trasformazioni nel tempo e negli spazi e posso, certamente dal mio punto di vista, valutare l’opera delle diverse amministrazioni succedutesi nel tempo, di centro sinistra così come di centro destra e dell’attuale.
Ebbene, almeno per la mia esperienza, posso dire, con assoluta certezza, che, relativamente al problema dei senza tetto, nulla è cambiato e nulla si è modificato nonostante il numero di queste sfortunate persone sia in costante aumento.
Unico elemento comune che ha caratterizzato le varie amministrazioni è stato quello di cercare di tenere lontani i senza tetto dal centro storico, per salvare la faccia al salotto buono della città, così da non infastidire il passante e/o il turista da una visione che crea malesseri, forse sensi di colpa, più in chi guarda che in chi viene guardato.
Riferendomi al caso concreto, faccio presente che la persona fotografata – peraltro non credo con il suo consenso – staziona in quella zona da almeno 6/7 anni (ma forse di più) e, fino a qualche mese fa dormiva sul gradone/mensola esterno alla finestra della stessa biblioteca, in cima alle scale mobili, prima che qualcuno, per evitare che la sua presenza disturbasse coloro che uscivano dalle scale, pensasse di metterci delle (credo) pigne di ferro, sulla cui estetica mi consentirete di non esprimermi.
Ciò che è certo che, l’istituzione pubblica comunale, fino ad oggi, nonostante i numerosi immobili di proprietà a disposizione, spesso concessi a prezzi non so quanto congrui a soggetti associativi, si limita a fornire a dette persone sfortunate un solo ricovero (prima nascosto in via Romana, dietro il distributore di benzina, così non si vedeva e non disturbava, ora in un posto ancora più nascosto in via del Favarone ) con soli 20 posti letto, a turnazione e per periodi limitati.
Ma, fortunatamente, dove la pubblica amministrazione non agisce, troviamo l’opera della Chiesa, direttamente con i Parroci e/o attraverso la Caritas e della Croce Rossa, che svolge un servizio specifico settimanale per i senza tetto, sia in estate che in inverno.
Ma una società che lascia i propri simili, specialmente i più sfortunati, esclusivamente in mano a organismi religiosi e/o al volontariato, non sviluppando azioni sociali di alloggiamento, intervento sociale e recupero, non è degna di chiamarsi civile.
E’ facile, per tutti, credenti e non, riempirsi la bocca di belle parole, ma il confine tra un vita cd. normale ed una condizione di povertà assoluta – tanto da trovarsi per strada -, è una linea che è sempre più sottile e sempre più “facile” da attraversare.
Ma noi non ce ne rendiamo conto perchè viviamo in ambienti climatizzati – caldi o freddi – buttiamo gli abiti per riempire di nuovo gli armadi, riempiamo i cassonetti di cibo avanzato o, addirittura, scaduto, perchè compriamo alimenti ben oltre le nostre necessità ed andiamo serenamente in ferie o in vacanza, scegliendo di stare al caldo ed al freddo per gusto personale, non certo per esigenze dettate dalla nostro status.
Una società fondata sul materialismo spinto, sulla competizione esasperata, sull’estetica smodata , sull’immagine e sull’apparenza, ha creato in noi una durezza morale che ci porta ad escludere – anzi, a scartare – chi non risponde a determinati criteri, senza pensare che la ruota può girare per tutti e che la coperta che serve oggi a coprire quel senza tetto che dorme davanti alla biblioteca comunale domani potrebbe servire ad un nostro amico o anche a noi.


