Addobbi natalizi/2. «Operazione coraggiosa ma il risultato appare di riuscita quantomeno incerta»

Michele Fioroni in un post. «Il problema è che il Natale, a differenza dell’arte contemporanea, non deve essere concettuale»

PERUGIA – Nel mare magnum di commenti sulle luminarie in cento, spicca l’intervento di una voce autorevole come quella di Michele Fioroni, esperto di martketing, docente universitario, già assessore comunale delle giunte Romizi e regionale nella legislatura Tesei.

Le sue parole sui social:
Riflessioni semiserie su un Natale diventato… concettuale
C’è un momento, ogni anno, in cui le città italiane si contendono turisti e affetti: da un lato competono a colpi di atmosfere scintillanti, dall’altro cercano semplicemente di scaldare il Natale ai propri abitanti con quei piccoli incantesimi urbani che rendono dicembre il mese più magico dell’anno. In questo scenario, Perugia ha scelto una strada tutta sua: trasformare il suo centro storico in un’esibizione di arte contemporanea en plein air.
Un’operazione coraggiosa, diciamolo, ma il risultato appare di riuscita quantomeno incerta.
Le luci d’artista di Mimmo Paladino – un gigante vero, lo ripeto per evitare fraintendimenti – sono finite in queste ore al centro di un dibattito sui social quasi ideologico. E su Paladino nulla da dire: chi non ha ancora visitato la sua antologica alla Galleria Nazionale dell’Umbria dovrebbe farlo subito, anche solo per il piacere di connettersi, o riconnettersi all’arte contemporanea, più che mai viva e indispensabile.
Ma il punto non è Paladino. Il punto è il Natale, una tradizione cromatica millenaria.
Perché il Natale, da secoli, ha un suo linguaggio preciso. Verde abete, rosso agrifoglio, oro, bianco neve, luci calde. Il resto sono variazioni sul tema. Persino le grandi capitali della contemporaneità come Londra e New York diventano improvvisamente tradizionalissime in questo periodo: renne, fiocchi, palle luccicanti e quel kitsch rassicurante che fa sentire tutti, adulti compresi, un po’ più bambini.
Ed è legittimo chiedersi: perché Perugia, città che vive di pietra medievale, di storia a ogni angolo, debba sentirsi improvvisamente chiamata a fare la rivoluzione concettuale proprio a Natale?
In Umbria si pratica da anni una forma di intellettualismo raffinato, qualcuno direbbe radical chic, che porta a complicare anche ciò che non richiede nessuna complicazione. Una sorta di inclinazione per cui tutto deve avere un significato profondo, meglio ancora se un po’ incomprensibile e condito di inclusività (un po’ come oggi il linguaggio di certa sinistra).
Il problema è che il Natale, a differenza dell’arte contemporanea, non deve essere concettuale, né tantomeno inclusivo, perché inclusivo lo è per definizione. È una festa popolare, immediata, universale, non un seminario sul simbolismo.
E lo scrive uno che l’arte contemporanea la ama davvero. Ma ci sono momenti che chiedono semplicità, non un manuale di decodifica.
Si pensi a Trento e Bolzano, luoghi che amano la contemporaneità, dove i musei brillano di installazioni avveniristiche. Eppure, a Natale, diventano un trionfo di tradizione pura. Perché l’atmosfera conta. Perugia ha un’identità potente, antica, riconoscibile. Ha tutto per trasformarsi, a Natale, in una piccola capitale dell’incanto. E non servono simbolismi complessi: bastano le cose semplici che tutti condividiamo, quelle che scaldano, uniscono e fanno famiglia.
Il Natale è il Natale, per definizione non contemporaneo.

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