Sopravvivere nei campi: caporalato, sfruttamento e condizioni di vita dei braccianti migranti in Italia

IL FRULLATORE | Quando il contratto non c’è, lo sfruttamento diventa ancora più evidente

DIEGO DIOMEDI

Oggi nella rubrica si affronta un tema delicato e dunque non ci sarà la solita copertina. In molte aree agricole del Paese, dalla Piana di Gioia Tauro al Foggiano, dal Metapontino alle campagne del Nord, migliaia di braccianti stranieri affrontano ogni anno condizioni durissime durante la stagione delle raccolte. Il fenomeno del caporalato, nonostante i progressi normativi e le iniziative territoriali, continua a essere una delle emergenze più gravi e strutturate dell’agricoltura italiana. Il lavoro delle organizzazioni che operano sul territorio rimane fondamentale per garantire assistenza, tutela e dignità. Medici (si consiglia di dare una occhiata a https://mediciperidirittiumani.org) mediatori culturali e operatori legali raggiungono ghetti, baraccopoli e casolari isolati per offrire cure, orientamento e supporto. La maggior parte dei lavoratori incontrati è regolarmente presente in Italia e impiegata nelle campagne da anni, spostandosi di regione in regione seguendo il ritmo dei raccolti. Questa stabilità, tuttavia, non coincide quasi mai con un reale riconoscimento dei diritti, né con condizioni di vita accettabili.

Il caporalato continua ad agire come un sistema parallelo che regola l’accesso al lavoro e spesso anche agli alloggi, controllando spostamenti, salari e turni. Molti braccianti denunciano paghe più basse di quelle previste, orari interminabili, giornate di riposo negate e buste paga che non rispecchiano le ore effettivamente lavorate. Quando il contratto non c’è, lo sfruttamento diventa ancora più evidente: chi lavora senza tutele è costretto ad accettare qualsiasi condizione pur di non perdere l’unica fonte di reddito disponibile. Il pagamento in contanti, ancora molto diffuso, impedisce ogni forma di tracciabilità, mentre la possibilità di raggiungere il numero necessario di giornate per accedere alla disoccupazione agricola rimane un traguardo irraggiungibile per la maggior parte dei lavoratori.

Accanto allo sfruttamento lavorativo, si affianca una grave emergenza abitativa. In molte zone rurali non esistono strutture adeguate ad accogliere i braccianti durante la stagione agricola, e questo costringe migliaia di persone a vivere in baracche improvvisate, tendopoli in progressivo degrado e edifici abbandonati privi di elettricità, acqua potabile e servizi igienici. Le soluzioni emergenziali allestite negli anni, nate come risposte temporanee, finiscono spesso per trasformarsi in insediamenti permanenti, lasciati senza manutenzione e privi di qualsiasi gestione istituzionale. Anche laddove sono stati finanziati progetti per migliorare l’accoglienza, ritardi, blocchi burocratici e mancanza di programmazione impediscono che gli interventi producano effetti concreti.

La realtà che emerge è quella di un sistema che si regge sull’invisibilità dei lavoratori e sulla debolezza delle tutele. Contrastare il caporalato significa affrontare una questione che non è solo economica o produttiva, ma profondamente sociale e umana. Occorre rafforzare i controlli, garantire percorsi di collocamento trasparenti, sostenere le aziende che rispettano i diritti e costruire politiche abitative stabili e non emergenziali. Solo così sarà possibile superare una situazione che da troppi anni si ripete identica a sé stessa e restituire dignità a chi, con il proprio lavoro, sostiene una parte fondamentale dell’economia agricola italiana.

La lotta allo sfruttamento nei campi non riguarda solo i braccianti migranti, ma l’intera società. Significa scegliere un modello di sviluppo fondato sulla legalità, sul rispetto della persona e su un’agricoltura realmente sostenibile, capace di unire produttività e diritti. Solo restituendo centralità ai lavoratori sarà possibile costruire un futuro in cui le campagne non siano più luoghi di marginalità, ma spazi di vita e lavoro dignitosi.

(foto copertina: Croce Rossa Italiana)

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