L’Umbria fa il record nazionale del pil 2021: +8,6%. Ma ora serve una ricetta contro la maxi inflazione (Perugia +13%, Terni +12)

SPOTLIGHT di MARCO BRUNACCI | Gli indicatori economici descrivono un’economia regionale in rosa e ci sono ancora da spendere Pnrr e Fondi comunitari 2023. Tesei può festeggiare. Ma gli alti prezzi rischiano di creare nuova povertà. I rialzi della Grande distribuzione. Le basse retribuzioni

di Marco Brunacci

PERUGIA – Beh, se questo dato – come tutto fa pensare – tra qualche giorno diventerà ufficiale è la prima volta nella storia che la Regione Umbria, piccola parte d’Italia, con tanti problemi e altrettanti ritardi strutturali, con difficoltà di collegamento da superare, con basi ancora da creare per uno sviluppo futuro sostenibile ma forte, nel 2021 è stata la prima in Italia per aumento del Pil, con +8.4%, quasi due punti percentuali sopra al dato italiano e quello del Centro Nord (rispettivamente 6,6% e 6,8%). Una gran cosa.

È Svimez a comunicarlo, lo stesso istituto di rilevamenti che in sede di previsioni era stato molto avaro con l’Umbria (ma in realtà per mancanza di dati) e che comunque aveva preso atto della previsione di tutti gli altri centri di ricerca che parlavano di Umbria sui livelli del Pil italiano, quindi 6,5%, già comunque un risultato lusinghiero.
Ora qualcuno potrebbe provare ad arricciare il sopracciglio e cercare spiegazioni arrampicandosi sugli specchi: la verità è che questo è un risultato straordinario, che non è stato neanche favorito, in misura maggiore rispetto alle altre regioni, dagli interventi del Governo nazionale.
Va tenuto conto infine che l’8,6%, oltre a essere il record nazionale, permetterebbe, sic et simpliciter, in un anno soltanto, il recupero della contrazione dovuta al Covid (-8,5).
Si immagina Tesei abbia pronta la mostrina da appuntarsi al petto. Questo, se ben comunicato, è un dato che può svoltare la legislatura. Anche perchè le previsioni per il futuro tra Svimez e Prometeia non sono affatto male.
Un vento positivo si coglie anche nei numeri diffusi nelle stesse ore dall’Aur, l’Agenzia Umbria ricerche.
L’Aur conferma il report di Bankitalia sul primo semestre del 2022 (+5,5%), tra i migliori in Italia. Ma si mostra preoccupata per l’immediato futuro. Sente parlare di recessione, vede l’inflazione gonfiarsi in maniera repentina, teme l’allargamento della fascia di povertà e soprattutto di nuova povertà di fronte all’innalzamento dei prezzi.
Qui si impone una prima riflessione: se a Perugia i prezzi crescono del 13%, ben oltre la media nazionale, se a Terni, sempre sopra la media, si vola al +12%, è necessario fermarsi.
L’inflazione ha sempre due facce: i prezzi alti possono essere, almeno per un periodo, concessi al commercio se l’economia tira.
Dall’altra parte l’inflazione dilata disagio sociale e vera povertà, dove povertà non c’era.
E’ possibile, per dirne una, che in Umbria si sia esagerato a scaricare sui prezzi l’aumento dei costi, dopo un periodo di contenimento, lodato anche dalla presidente Tesei? La Grande distribuzione ha sciolto le redini per recuperare margini di profitto? O magari solo per cercare di pareggiare il grande choc energetico? Ma in qualunque caso perchè un aumento così superiore rispetto alla media nazionale?
Ecco un po’ di domande da farsi e alle quali rispondere.
Fatto sta che l’Aur si rifiuta di fare previsioni per il 2022, nel mentre indica il 2023 come un probabile passaggio nel deserto della recessione, ma con un paio di motivi di ottimismo.
Se ci sarà recessione, l’Umbria è messa meglio di altri, dice Aur, perchè ha 1,7 miliardi del Pnrr da spendere, sempre che, tra burocrazie statali, regionali e comunali, si riesca a mettere a terra tutto questa dote di finanziamenti nei tempi previsti. Il Pnrr umbro da solo vale un punto del Pil regionale. Quindi un movimento anticiclico potente rispetto all’eventuale recessione.
Non solo Pnrr, ma anche Fondi comunitari, incluso il Psr, sono una ricchezza per la piccola Umbria. Ci sono 813 milioni che possono essere utilizzati a partire dal 2023. Considerando che finora l’Umbria ha speso per quest’anno l’84% dei fondi comunitari di cui disponeva (la media della precedente amministrazione era di poco sopra il 60%), questo significa che c’è un’altra medaglia (più piccola ma significativa), da appendersi al petto. Sia per la presidente Tesei, che per il vicepresidente Morroni che per l’assessore al ramo e al bilancio Agabiti Urbani.
Ma anche qui – fermi tutti – una riflessione si impone: c’è un numero che non può non andare di traverso a chi governa. Ecco il dato sul quale serve attenzione da parte dei soggetti sociali: in Francia e Germania, dal 2000 al 2021, c’è stato un incremento dei redditi del 25%, in Italia dell’1%. L’Umbria è anche sotto questa soglia.
Se a questo si aggiunge che il reddito medio pro capite qui è sotto i 20mila euro, è chiaro che i motivi di preoccupazione, a fronte di alta inflazione, per un possibile allarme povertà da parte di Aur ci possono stare.
Ma, dall’altra parte ancora, se finiscono per avere ragione coloro che intravedono una inversione di tendenza abbastanza netta, con un calo rilevante, rispetto all’incremento del costo dell’energia e relativo caro bollette, magari anche il 2023 potrebbe essere meno cupo di come lo si descrive in questo momento.

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