di Diego Diomedi
Prosegue il viaggio di Umbria7 nei 7 VIZI GASTRONOMICI, un tour nel mondo del gusto attraverso i sette vizi capitali. Si pensi a un pranzo o ad una cena, possibilmente tra amici, conoscenti o addirittura parenti. I 7 vizi, sotto forma gastronomica, usciranno tutti. Dalla gola all’invidia, dall’accidia all’avidità. Basta un banchetto per poter rappresentare i peccati capitali. Ma perderli è proprio un peccato…
L’olio fa bene? È importante come alimento? Quanto spendere per una bottiglia d’olio e perché spendere una cifra così “alta”?
Con Alessandro Vujovic cercheremo di dare una risposta a queste domande che ognuno di noi, almeno una volta nella vita si è fatto oppure ha ascoltato da altri.
Come prima cosa ti chiedo di raccontare a Umbria7 chi sei.
«Inizio questa breve nota con un cenno alla mia attività di oleologo, di Consulente Tecnico d’Ufficio (CTU) del Tribunale di Perugia per l’olio di oliva, di Autore del libro “L’olio di oliva tra storia e scienza”, nonché di oltre 50 articoli pubblicati su Teatro Naturale, magazine settimanale telematico di Agricoltura, Alimentazione ed Ambiente.
La passione per l’olio di oliva inizia negli anni 70, con la partecipazione ad un Corso, di quattro mesi, sulla “Gascromatografia e spettrofotometria applicata alle analisi alimentari” dove la maggior parte del tempo lo ho trascorso analizzando gli “oli di oliva difettati”.
Dagli anni ’90, anzi dal Regolamento CEE n. 2568/91, ho studiato l’evoluzione delle norme relative alle tipologie degli oli di oliva e dei metodi di analisi pubblicati dal COI. Questo interesse per la normativa e per le metodologie analitiche mi ha permesso di svolgere, dal 2017, la funzione di CTU per l’olio di oliva, intervenendo in vari processi.
Nel 2015/16 ho partecipato al Corso per assaggiatori di olio di oliva vergine, iscrivendomi all’Elenco Regionale e all’Elenco Nazionale dei Tecnici ed Esperti degli Oli di Oliva Extravergini e Vergini.
Nel 2012 ho iniziato a fare una serie di presentazioni sulla chimica dell’olio, chiamato dagli amici dell’AICOO Valtiberina (Associazione Italiana Conoscere l’Olio di Oliva), in seguito anche sul ruolo salutistico dei singoli componenti. In occasione di questi incontri, spesso distribuivo le dispense sui vari argomenti, tanto che alla fine mi sono ritrovato con un’abbondante raccolta di materiale, sufficiente per fare un libro.
Nel 2018 ho partecipato, come co-Autore, con il capitolo “Chimica e componenti dell’olio” nella realizzazione del volume “Corso di Primoliere; dall’olivo alla tavola. Primo livello” dell’associazione AICOO.
Trascorro buona parte del tempo a fare divulgazione scientifica sull’olio con presentazioni ed incontri, in varie città. Molto spesso mi ritrovo a spiegare come si riconosce un “olio di qualità” e come si differenzia da un EVOO commodity anche per la differenza dei costi».
Come riconoscere un olio di qualità?
«L’olio ha varie qualità: quella merceologica o legale con i suoi parametri chimico-fisici, ciascuno entro il range fissato dalla norma, la qualità sensoriale (sapori ed aromi), la qualità salutistica (molecole bioattive e biodisponibili) e la qualità igienico-sanitaria [assenza di contaminanti come i pesticidi, gli Idrocarburi Aromatici Policiclici (IPA), gli ftalati e gli oli minerali saturi o aromatici (MOSH, MOAH)].
Quindi un olio di qualità è quello che: non ha attributi negativi, ha un basso grado di alterazione in termini di acidità libera e di degradazione ossidativa, ha un contenuto di molecole sensoriali che ne determinano gli attributi positivi e contiene, in varia misura, molecole bioattive (composti fenolici, acido oleico, tocoferoli…). Queste molecole, oltre ad avere un ruolo salutistico, hanno anche una funzione antiossidante e protettiva sulla conservabilità durante lo stoccaggio.
Infine debbono essere assenti, in un EVOO di qualità, le molecole contaminanti, già descritte, ma anche oli vegetali di natura diversa o provenienti da processi di raffinazione o da riscaldamento tanto che la normativa prevede una serie di esami di laboratorio per definire la purezza, genuinità ed autenticità di un olio.
In un olio di oliva di qualità possiamo riportare, in etichetta, una indicazione salutistica (health claim) purché contenga un certo contenuto di molecole bioattive, garantite dal produttore fino al termine del periodo di conservazione (TMC).
Per concludere un olio di qualità lo riconosciamo dall’esame chimico-fisico, eseguito con apparecchiature di laboratorio e da quello organolettico, quest’ultimo eseguito da un gruppo di assaggiatori addestrati ed organizzati in un Panel. Tra l’altro l’olio è l’unico alimento (functional food) per il quale è prevista una valutazione sensoriale fatta da un Panel di assaggiatori ed è anche il primo prodotto alimentare per cui l’analisi sensoriale costituisce una “discriminante merceologica”».

Per riconoscere un EVOO di qualità, quanto è importante l’approccio sensoriale?
«Alla domanda di quanto sia importante l’approccio sensoriale, posso dire che l’esame organolettico ha un ruolo molto rilevante, oltre che un costo contenuto, anche se la chimica riesce ad evidenziare alterazioni di parametri non percepibili dai nostri organi del senso e mi riferisco all’acidità, ai perossidi [soprattutto nella fase di “induzione e propagazione” mentre nella fase di “terminazione” l’analisi sensoriale evidenzia meglio l’ossidazione rilevando molecole volatili, aldeidi, alcoli e chetoni, provenienti dalla degradazione degli idroperossidi degli acidi grassi], agli etilesteri degli acidi grassi, agli acidi grassi trans, ai stigmastadieni, ai dialcoli triterpenici, alla composizione in acidi grassi, alle cere e al 2-glicerilmonopalmitato».
Che differenza c’è tra un EVOO ed un EVOO Commodity?
«Con il termine di EVOO Commodity si indica l’assenza di una diversificazione tra prodotti di ditte diverse che vengono per lo più acquistati dai consumatori per il loro basso prezzo (price taker). Spesso sono “prodotti civetta” da pubblicizzare su volantino, a volte venduti anche sottocosto. Questi EVOO rispondono ai parametri della qualità merceologica e hanno il fruttato maggiore di zero, condizione necessaria per essere classificato come olio extravergine».
“L’olio di oliva” e “l’olio extravergine di oliva” sono la stessa cosa?
«La normativa classifica, da un punto di vista merceologico, otto tipi di olio di oliva dei quali quattro sono commestibili basandosi sull’acidità e sulla presenza, con varia intensità, di alcuni difetti sensoriali. Pertanto l’olio extravergine è quello che ha un aroma fruttato, non ha difetti organolettici ed ha un valore basso di acidità. Se invece, pur in presenza di fruttato, un olio presenta difetti, ma d’intensità contenuta, oppure ha una maggiore acidità, questo olio è declassato merceologicamente da extravergine a “olio di oliva vergine”.
Se l’olio presenta difetti di intensità ancora maggiore, rispetto al precedente, allora è classificato come “lampante” e viene sottoposto, per neutralizzare questi difetti, a procedimenti di raffinazione.
La miscela formata da olio raffinato e da olio di oliva vergine, forma “l’olio di oliva”, direttamente consumabile.
L’ultimo tra gli oli consumabili è “l’olio di sansa di oliva” che viene estratto dalla sansa, con solventi e con le stesse modalità degli oli di semi. Inoltre l’olio di sansa greggio può essere raffinato e mescolato con oli di oliva vergine.
In conclusione abbiamo quattro prodotti direttamente consumabili, ma con un valore economico e con una qualità decrescente, a partire dall’extravergine».
Olio filtrato o non filtrato?
«L’olio quando viene prodotto dal frantoio sarebbe opportuno che venisse sottoposto a filtrazione, in linea, per impedire che si alteri durante la conservazione; difatti la filtrazione, oltre che eliminare materiale organico contenuto nella polpa del frutto, compresi enzimi degradativi, abbassa il contenuto di “acqua disponibile” tale da impedire le attività enzimatiche e la crescita di batteri anaerobi che potrebbero determinare difetti sensoriali.
Qualora l’olio non venisse filtrato va consumato entro pochi mesi».
L’olio scade o ha un Tempo Minimo di Conservazione? Quanto tempo conserva le sue proprietà?
«Innanzitutto l’olio non scade, come gli alimenti deperibili, ma ha un Tempo Minimo di Conservazione entro il quale, sono garantite dal produttore, la qualità merceologica e sensoriale. Questo tempo è diverso da EVOO ad EVOO in quanto dipende, soprattutto dalle condizioni di conservazione (quelle ottimali sono l’assenza di luce, di ossigeno e ad una temperatura costante, attorno a 15°C), ma anche dalla presenza di molecole antiossidanti come i composti fenolici e la vitamina E.
Quindi un olio ricco di molecole antiossidanti avrà una lunga shelf life. Queste molecole sono i tocoferoli, i carotenoidi ed i composti fenolici secoiridoidi; quest’ultimi sono caratterizzati, nella valutazione sensoriale, da piccantezza e pungenza, amarezza ed astringenza.
Quindi un olio di qualità sarà fruttato, piccante ed amaro; il piccante, determinato dai composti fenolici, non va confuso con l’acidità che non è percepibile da un punto di vista sensoriale».
Come tutti i lipidi l’EVOO è un alimento ricco di calorie, il suo consumo può portare all’obesità?
«L’olio è un alimento ricco di calorie ma ci sono numerosi studi che dimostrano che è possibile utilizzarlo senza che determini sovrappeso o obesità, purché venga consumata una quantità di circa 20 gr al giorno.
Questa quantità, da consumare “a crudo”, svolge un ruolo nutraceutico purché contenga un contenuto “sufficiente” di acido oleico, di composti fenolici e di tocoferoli. In questo senso non tutti gli EVOO sono uguali.
D. Tutti parlano del ruolo salutistico dell’EVOO, ma quali sono le evidenze scientifiche?
Riguardo al suo ruolo salutistico vi sono numerose ricerche di tipo epidemiologico, studi “in vitro” su colture cellulari, “in vivo” con esperimenti su animali di laboratorio, che dimostrano le sue proprietà antinfiammatorie, antiossidanti, anti ipertensive, anti neurodegenerative, gastroprotettive, preventive sulle malattie metaboliche (diabete tipo 2) e di malattie cardiovascolari, ma anche verso alcuni tipi di tumori. Molte di queste azioni salutistiche si verificano utilizzando meccanismi epigenetici, silenziando oppure facendo esprimere alcuni geni del DNA».
Diego Diomedi vive a San Gemini, in Umbria. Storico dell’alimentazione e della gastronomia, collabora con “Umbria 7”, “Guide di Repubblica” e “Gambero rosso”. Ha preso parte come moderatore e come relatore a numerosi convegni e tenuto lezioni su tematiche enogastronomiche nelle scuole, all’Università e centri di formazione. Alunno di Massimo Montanari all’Università di Bologna, i suoi principali campi di ricerca sono la storia e l’antropologia alimentare. Collabora inoltre con diverse testate d’informazione. Per Edizioni Thyrus ha curato il libro “Conversazioni dantesche”.


