Scolari umbri bravi alle elementari e alle medie. Rimandati alle superiori

Cosa dicono i test Invalsi. Lo scoglio dell’italiano per gli stranieri

Di GIUSEPPE CROCE (Sapienza Università di Roma)

TERNI – I risultati delle prove Invalsi offrono una fotografia dettagliata dei livelli di apprendimento delle competenze fondamentali raggiunte dagli studenti. Una fotografia capace di rivelare aspetti che a occhio nudo non è possibile cogliere. Ogni anno i test ci restituiscono una grande quantità di dati che sono una straordinaria fonte di conoscenza per chi voglia provare a considerare le sfide oggi di fronte al sistema scolastico. D’altro canto, come tutte le fotografie, non può cogliere tutti i lati della realtà. I dati Invalsi scaturiscono da una misurazione standardizzata delle competenze e consentono un’analisi statistica che migliora le nostre capacità di comprensione. Questa conoscenza quantitativa, “fredda” potremmo dire, non sostituisce la conoscenza “calda” di chi opera nella scuola. Le due forme di conoscenza dovrebbero piuttosto confrontarsi anche criticamente e poi sostenersi reciprocamente. Fatto sta che da tante parti perdura lo scetticismo, quando non il vero e proprio boicottaggio, nei confronti dei test Invalsi anche all’interno della scuola, spiegabile perlopiù per ignoranza o per difesa di interessi corporativi.

I risultati delle prove 2025, pubblicati da pochi giorni, ci aiutano a capire in che modo l’allargamento della partecipazione scolastica, che significa una capacità della scuola di attrarre e accogliere quote di popolazione di giovani sempre più ampie, possa rendere problematico il raggiungimento di risultati soddisfacenti di apprendimento. Allargare la partecipazione scolastica significa soprattutto ridurre il tasso di abbandono prima del raggiungimento del diploma di secondaria di superiore. Si tratta di un obiettivo di grande importanza per le sorti di ogni ragazzo e ragazza e con ricadute ugualmente importanti per la società nel suo insieme. Ma allargare la partecipazione scolastica significa trattenere a scuola fasce di popolazione con livelli di partenza via via più svantaggiati. Di conseguenza, il raggiungimento dei traguardi di apprendimento si fa più difficile.

È questa la ragione che spiega forse come mai i risultati delle prove Invalsi dell’Umbria, estremamente positivi, almeno a confronto con l’insieme delle regioni, per la scuola primaria e per la secondaria di primo grado, diventano meno brillanti se non deludenti, per la secondaria di secondo grado, con l’Umbria che scivola verso posizioni medie o basse della graduatoria delle regioni.

La spiegazione sta forse nel fatto che l’Umbria ha un tasso di abbandono scolastico tra i più bassi a livello nazionale: un indubbio successo rispetto al traguardo di allargare la partecipazione che tuttavia complica il raggiungimento del secondo obiettivo, quello di garantire livelli di apprendimento soddisfacenti in media e per ciascuno degli studenti.

Questa relazione complicata tra allargamento della partecipazione scolastica e risultati di apprendimento è resa più chiara dalle evidenze fornite dal Rapporto Invalsi sul modo in cui il profilo socio-demografico degli studenti è correlato in media ai risultati di apprendimento. Guardando alla scuola secondaria superiore a livello nazionale, emerge che le ragazze hanno un vantaggio significativo rispetto ai maschi in italiano mentre ottengono risultati inferiori nei test di matematica, chi frequenta i licei ottiene in media i punteggi più alti mentre, all’opposto, gli studenti degli istituti professionali si fermano ai livelli più bassi, un profilo economico e culturale della famiglia di provenienza elevato è associato a risultati un po’ più alti, mentre gli studenti del Nord ottengono i punteggi più alti e quelli del Sud più bassi, con quelli del Centro in posizione intermedia, e infine gli studenti immigrati di prima o seconda generazione ottengono risultati al di sotto della media. A proposito di immigrati vale la pena notare, però, che il deficit di risultati è ampio per l’italiano mentre si riduce notevolmente in matematica. Inoltre, il risultato inferiore rilevato per gli studenti immigrati indica un deficit nei livelli di partenza mentre è noto a chi insegna che normalmente l’impegno e la capacità di migliorare propri degli studenti immigrati sono notevoli e non di rado superiori a quelli dei loro compagni di scuola italiani.

Man mano che la popolazione scolastica si diversifica la scuola si trova di fronte sfide nuove alle quali deve saper rispondere. Non basta accogliere più studenti se non si riesce poi a portarli a livelli adeguati di conoscenze e competenze. Una popolazione scolastica differenziata per profilo socio-demografico può indurre processi di segmentazione nella scuola con esiti negativi in termini di disuguaglianze e di impoverimento dell’esperienza umana e formativa, già ampiamente visibili: scuole frequentate quasi solo da ragazze, altre quasi solo da chi proviene da famiglie a reddito elevato, e altre ancora nelle quali si concentra la gran parte dei ragazzi di famiglie immigrate.

Da queste evidenze si possono trarre delle indicazioni o anche solo conferme. Trova conferma che è importante offrire occasioni di miglioramento della conoscenza della lingua italiana a chi viene da famiglie immigrate e occasioni di recupero a chi presenta deficit in altri ambiti fondamentali. Nelle scuole dove la presenza di studenti con livelli di partenza più difficili supera certe soglie potrebbe essere utile ridurre la numerosità delle classi.

La scuola deve attrezzarsi per continuare a svolgere il suo ruolo in un contesto sociale che è cambiato e sta cambiando velocemente. Il compito non è facile, ma alcune cose forse si potrebbero già sperimentare e a proposito di altre sarebbe ora almeno di iniziare a porsi delle domande.

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