DI DIEGO DIOMEDI
Negli ultimi anni si è spesso sentito dire che il reddito di cittadinanza “toglie lavoratori” ai balneari e ai ristoranti durante la stagione estiva. Una narrazione che ha avuto grande presa mediatica, ma che non trova riscontro concreto. La realtà è più complessa e tocca dinamiche strutturali del settore della ristorazione e del turismo stagionale.
Molti studi e testimonianze evidenziano infatti come il vero problema non sia stato il sussidio in sé, ma la difficoltà cronica di creare valore all’interno delle imprese e la frequente mala gestione delle risorse. Turni massacranti, paghe inadeguate, contratti irregolari o inesistenti hanno reso spesso il lavoro stagionale poco attrattivo, soprattutto per i giovani. A questo si aggiunge un nodo cruciale: la ristorazione, nella maggior parte dei casi, paga troppo poco, non calcola mai gli straordinari e fatica a creare ambienti positivi e motivanti. Un mix che inevitabilmente allontana chi cerca un impiego dignitoso e sostenibile.
Non a caso, la carenza di personale qualificato è emersa anche in paesi dove non esistevano strumenti simili al reddito di cittadinanza. Il problema è strutturale: riguarda la qualità dell’offerta lavorativa più che l’esistenza di un presunto “paracadute sociale”.
Il settore della ristorazione, in particolare, vive un paradosso: è uno dei comparti che trainano l’economia italiana, ma in troppi casi non riesce a garantire condizioni lavorative stabili e professionalizzanti. Le imprese che hanno investito in organizzazione, formazione e valorizzazione del personale, al contrario, non hanno avuto grandi difficoltà a reperire lavoratori, dimostrando che la differenza la fa la gestione.
Spostare l’attenzione sul reddito di cittadinanza ha finito per oscurare un dibattito ben più urgente: come rendere il lavoro nella ristorazione e nel turismo sostenibile, attrattivo e fonte di crescita reale. Un passaggio necessario per superare la precarietà e costruire un settore capace di produrre valore duraturo, non solo profitti immediati.
