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The Irishman: così da Roma Scorsese le suona di santa ragione a Hollywood

VISTI DA VITTORIA di VITTORIA EPICOCO | Al Festival del cinema l’ultimo capolavoro del regista con Robert De Niro, Al Pacino e Joe Pesci

Senza ombra di dubbio, l’evento più atteso di questo Roma Film Festival era l’ultimo grande capolavoro con cui Martin Scorsese – ancora una volta ed instancabilmente – le suona di santa ragione a tutta Hollywood: The Irishman.

Il film è un prodotto di un certo livello (noi vorremmo dire una “figata pazzesca”, ma forse rischiamo di essere troppo informali?!) che ha certamente scosso l’intera critica – questa però unendola in modo unanime circa la riuscita del film -, se non l’industria cinematografica stessa, a partire dalle controversie nate addirittura solo per realizzarlo.

Durante la conferenza stampa, infatti, il regista ha spiegato che – a differenza dei colossi di Hollywood – solamente Netflix gli ha concesso, oltre al budget in sé, “libertà assoluta su tutto” per realizzare il film, quindi sebbene abbia avuto sempre una propria opinione riguardo lo streaming, alla fine ha accettato di collaborare con l’omonima piattaforma.
Questo comporta naturalmente una distribuzione diversa, che vedrà il film nelle sale italiane solo per tre giorni (dal 4 al 6 novembre), e poi su Netflix dal 27 dello stesso mese.

Ma torniamo a noi… e al film. Che Scorsese sarebbe senza Joe Pesci e De Niro, e che De Niro sarebbe senza Al Pacino?

Il regista crea un connubio cinematografico di portata mastodontica, mettendo insieme ben tre Premi Oscar che di cinema sanno il fatto loro.
E infatti… ciò che ne viene fuori è un prodotto scorsesiano di qualità paragonabile a Quei Bravi Ragazzi (1990).

Il film si basa sull’omonimo libro di Charles Brandt, in cui si raccontano le vicende di Frank Sheeran (qui Bob De Niro), che dichiarò di aver assassinato il leader sindacalista Jimmy Hoffa (Al Pacino) – senza che nessuno mai ne ritrovasse il corpo – su commissione dei Bufalino.

Chiaro, trasporre cinematograficamente quarant’anni non era cosa facile, e infatti il lungometraggio è davvero lungo; inoltre in questo modo si era presentato il problema di un ringiovanimento digitale degli attori (perché Martin non voleva in alcun modo che fossero altri interpreti ad impersonare i giovani Sheeran e Hoffa se non De Niro e Pacino), come fare?
Il “soccorso” è arrivato immediatamente dalla Industrial Light & Magic, che – anche con tutti i limiti che concernono ringiovanire uomini di 80 anni circa, e che quindi rende la cosa abbastanza evidente – ha dato un valido contributo affinché il desiderio del regista, e dei “big” stessi, fosse esaudito.

Così, bypassata la complicazione del “non siamo più tanto giovani”, Scorsese ha potuto portare serenamente a termine la sua opera.
Opera che pone l’accento non tanto sulla storia della mafia americana (quella la conosciamo tutti), quanto piuttosto sulla fragilità (del)la moralità umana, sul fatto che non importa chi sei, dove arrivi e come, importa cosa ti rimane alla fine: la solitudine.

E con un po’ di amarezza ci (dis)piace pensare che questo film possa essere anche autobiografico di un regista che sa di andare ormai contro corrente, rispetto a tutto il resto dell’industria cinematografica.

Fare una considerazione di questo tipo è logico secondo due criteri: il primo di cui è stato già accennato sopra, il secondo si ricollega ad una delle tante affermazioni di Scorsese – che ha fatto molto discutere – secondo cui, ad oggi, verrebbero finanziati maggiormente film che trasformano le sale cinematografiche in “parchi divertimento” e spacciati come cinema quando “cinema – a parere del regista – non sono”, a discapito del cinema narrativo che va sempre più scomparendo.
Ecco perché questo ultimo film viene visto come “capitolo definitivo del genere sostanziale del cinema americano” (Anna Maria Pasetti, Il Fatto Quotidiano).

Quasi inutile qui parlare della standing ovation a De Niro e Pesci, contraddistinti da una freddezza e puntualità encomiabili, e Pacino, quest’ultimo poi in una delle sue performance più belle e brillanti degli ultimi anni.

Infine anche la musica dà il proprio considerevole contributo – curata da Robbie Robertson – proponendo una colonna sonora che richiama a gran voce i film che hanno creato il cinema americano.

The Irishman di Scorsese… è una figata pazzesca!

Il trailer:

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