di Marco Brunacci
PERUGIA – Piccolo potrebbe essere, così stando le cose, abbastanza bello, ma non ha un futuro. Leggere il rapporto su 200mila bilanci di aziende in Italia fatto da Acacia group, un think thank considerato non lontano da ambienti FdI, permette di fare alcune considerazioni sull’Umbria economica, sulla sua capacità di resistenza (alta) e sulle sue possibilità di rilancio (a patto però che si cambi registro).
Allora. I dati positivi. Le aziende umbre sono nella media nazionale in quanto a incidenza del Covid sui bilanci. Che non sarà da festeggiare con i fuochi d’artificio ma certo è una bella notizia visto che da queste parti il Pil e tutta l’industria crescevano da anni sempre meno della media italiana o diminuivano sempre più fino al 2020, quando si è raggiunta, a forza di inseguire, la lepre Italia.
Questo vuol dire che il tessuto di piccole e medie imprese umbre, come i (pochi) campioni della produzione presenti, è forte, relativamente brillanti sono le performance, chiaro il trend: le aziende umbre, così come sono, sono state capaci di battere la crisi, comunque di non finire sotto i colpi del Covid e delle sue conseguenze. Questo significa anche che c’è dinamicità e flessibilità, capacità di spostare il focus della produzione o di mettersi al riparo quando i venti della crisi si alzano impetuosi.
Detto questo va aggiunto anche che le aziende umbre sono lo 0,7 della produzione nazionale, poco rilevanti, per usare un’espressione soft.
Ma la verità vera è che il problema di fondo sta non solo nelle dimensioni non adeguate al mercato ma soprattutto nella sottocapitalizzazione delle imprese.
La Regione aveva studiato proprio una misura anticrisi per l’aumento di capitale delle aziende medie della regione. Ma in piena crisi non c’è stata la risposta attesa.
Invece ora è chiara l’esigenza. Si tratta di chiamare gli imprenditori a investire nelle proprie imprese, portandole da piccole a medie, con un capitale di rischio elevato opportunamente. Il momento è propizio: arrivano molti soldi pubblici e la congiuntura è positiva. Il trend va utilizzato per far crescere le aziende, in un piano di medio periodo (4-5 anni), con una patrimonializzazione sufficiente per competere.
Si possono far crescere le imprese, come pure incentivare le fusioni, ma mantenendo sempre nella regione la testa pensante e il motore. E’ utile lavorare anche su reti e distretti, ma battendo più di ogni altra cosa sulla fiducia degli imprenditori.
E lì si torna: la scommessa resta una e una soltanto: o si rimette in moto la voglia di fare impresa e l’ambizione di produrre più ricchezza o l’Umbria si scoprirà sempre più marginale, mentre è fondamentale incrementare quello 0,7% di quota Umbria rispetto ai bilanci delle imprese nazionali.
Su un’altra problematica però, in queste contesto, è utile riflettere: l’essere le imprese umbre piccole, con 5-10 addetti, produce degli effetti immediati anche sul tipo di occupazione che possono proporre, soprattutto ai giovani. La retribuzione è meno attrattiva rispetto a quella delle imprese più grandi o che si mettono in rete.
E così ecco un fenomeno che è un flagello per l’occupazione in Umbria: i giovani talenti che escono dall’Università si orientano a cercare lavoro fin da subito fuori regione. Ma il più delle volte restano in Umbria solo il primo anno, preferendo negli anni successivi andare a ricoprire incarichi meglio retribuiti fuori regione. Le statistiche qui sono allarmanti. L’Università fa il suo mestiere, la Regione il suo, ma se il tessuto industriale della piccola impresa umbra non si orienta a irrobustirsi, i giovani vengono penalizzati o devono andare fuori, con la conseguenza di impoverire la società regionale nel suo complesso.
Ecco perché il futuro può sorridere se si dà un colpo di timone ben assestato, convincendo gli imprenditori a investire e aiutando le imprese e crescere.
I capitali ci sono – come risulta dai depositi bancari delle famiglie ma anche delle imprese – quel che serve è fiducia e un percorso profittevole disegnato dalla Regione insieme con le associazioni di categoria. In economia, quella umbra, in particolare, è davvero il momento delle scommesse.


