di Vittoria Epicoco
PERUGIA – Venerdì 1 ottobre, Rai 3 regala un’interessante prima visione tv. Protagonista è l’ancora oggi controverso Bettino Craxi, qui interpretato da un Pierfrancesco Favino che sa assolutamente il fatto suo (specie dopo l’enorme successo de Il traditore di Bellocchio, che gli è valso un quasi Oscar nella categoria dei film stranieri).
Favino è stavolta diretto da Gianni Amelio in Hammamet, un biopic che non si occupa di restituire un quadro generale della carriera politica di Craxi – quella è conosciuta ai più – quanto piuttosto di disegnare a mano libera il lato più umano dell’uomo politico, la famiglia, gli affetti, le sofferenze; in particolare raccontandone gli ultimi istanti in ritiro “spirituale” ad Hammamet, in Tunisia.
E in questo dipinto a mano libera, Amelio ritrae il Presidente come una persona dura, collerica, orgogliosa e profondamente ferita dal recente esilio cui è stato condannato, e che non riuscirà a superare fino alla sua morte.
L’accoglienza del film, distribuito nelle sale cinematografiche ad inizio 2020, poco prima della chiusura, è stata molto frammentata e divergente. C’è chi l’ha definito un “mosaico costruito con estrema pazienza” (davvero estrema!), e chi invece l’ha trovato noioso sotto il punto di vista narrativo, e macchinoso dal punto di vista filmico. Ma in entrambi i casi, il minimo comune denominatore è Favino.
In effetti non si può dire che il film brilli per intrattenimento, non ha nulla di avvincente, restando sempre sullo stesso filo narratologico monotono, ripetitivo, vuoto a tratti. Ma la scelta del regista è chiara: allontanarsi del tutto dalla narrazione parodistica cui spesso sottopongono le personalità dei politici, facendo leva su abbondante ironia, a vantaggio, invece, di un film quanto più possibile vicino al reale mescolato, in alcuni momenti, anche ad una realtà raccontata attraverso i sogni (perché nessuna realtà è tale se non è addolcita da qualche sogno). Il risultato però non dà una pellicola di perfetto senso compiuto, che invece si muove lungo una linea di costanti alti e bassi e scene inserite per puro senso estetico ma che, alla fine, non vogliono dire nulla.
Tutto il peso del film e della sceneggiatura ricade invece su Favino, minimo comune denominatore, come detto. Dalle più “elementari” delle questioni (trucco, cadenza e tono) al suo diventare il riflesso allo specchio del politico – in disuso – e dell’uomo eternamente influenzato dal politico. Così Craxi è dipinto prigioniero di un’eterna vacanza, in una villa con ogni comfort ma con nessuno a cui impartire ordini, pochi parenti a parte; è severo e distante ma estremamente bisognoso di compagnia, sempre. Un rottame buono a nulla – proprio come il carro armato cui si avvicina, esempio di un elementare simbolismo – invalidato dal male alla gamba (conseguenza del diabete) che rispecchia un’effettiva immobilità a trecentosessanta gradi; sa cos’accade tramite la televisione (unico mezzo che lo tiene in comunicazione con lo stesso mondo che l’ha esiliato) e tramite i quotidiani, registra video e claudica incessante tra il giardino e gli interni, senza mai poter effettivamente servire a nulla.
È proprio Favino – e solo lui – a tenere alto, altissimo un tenore altrimenti destinato a far scadere l’immagine di un Bettino Craxi che continua ad essere non da tutti apprezzato. Domani sera su Rai 3, dalle 21.20.