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Il Perugia degli uomini veri

GRIFOLANDIA di FRANCESCO BIRCOLOTTI | La scomparsa di un “signore del calcio” come Piero Frosio e le maglie sempre sudate dei grifoni di oggi: quando il cuore va oltre i risultati

di Francesco Bircolotti

PERUGIA – Impossibile non pensare a Pierluigi Frosio, capitano del “Perugia dei miracoli” e baluardo di una storica imbattibilità lui che era per scelta di Castagner (qui il suo commovente ricordo) da stopper era stato trasformato nell’ultimo uomo a difesa della porta biancorossa, che all’alba di una grigia domenica mattina ha raggiunto in cielo Renato Curi, Antonio Ceccarini, Paolo Rossi, Andrea Pazzagli e tani altri ex grifoni.

Come pure impossibile è non sottolineare che quelli erano uomini veri per signorilità, per disponibilità, per senso di abnegazione, perché il calcio una volta era diverso. Il “4” del Grifo era così, una bandiera, tutt’altro che nel senso superficiale che si usa oggi. Franco D’Attoma, presidente schietto e lungimirante, lo chiamava “Colonnello” per quel suo modo di stare in campo, per l’essere uomo-guida di un undici perfetto anche quando c’era da andare a ridiscutere i contratti che erano importanti ma non certo faraonici come quelli attuali. E il libero nato a Monza (“ma Perugia sarà sempre la mia città”) impersonava alla perfezione la figura del leader, con un cuore grande così. Di quelli che, parrebbe potersi dire, non si trovano più.
Eppure, sarà forse un caso, una pura coincidenza, a Perugia sta succedendo una cosa strana: anche se il gioco del pallone non è più quello di allora (e non c’è bisogno di declinare l’attuale), sembra che chi indossa oggi la maglia biancorossa stia interpretando il proprio ruolo come coloro di cui si era orgogliosi tanti anni fa. Chiaro: quando si gioca bene e arrivano i risultati è tutto più facile, la visione è inevitabilmente rosea. Però quando un tifoso vede i propri ragazzi per i quali si sgola o macina chilometri uscire dal campo avendo sempre dato tutto, con la maglia da strizzare per il sudore profuso, si ha la sensazione che sfiora la certezza di avere ancora a che fare con degli uomini veri, quelli di cui si parlava all’inizio. A prescindere dal risultato.
La conferma, se ce ne fosse stato bisogno, è arrivata dal big match interno contro la Cremonese. Quando gli uomini veri guidati dal condottiero Alvini hanno superato a pieni voti la loro prova di maturità. Lo 0-0 finale deve essere letto come la consacrazione di quel trend positivo di tre vittorie consecutive al cospetto di una squadra che non solo è al vertice della classifica ma soprattutto è la più coriacea, solida e messa bene in campo tra quelle finora incontrate (nonostante all’andata i grifoni le avessero rifilato tre gol espugnando lo “Zini”). Ha ragione il tecnico di Fucecchio quando dice che “ci siamo reciprocamente annullati esaltando il calcio e proponendo al pubblico lo spettacolo che merita”. Sì, perché questo Perugia assomiglia sempre di più ai suoi tifosi: non molla mai. Ed è lassù tra le grandi del campionato a dispetto di un calendario anomalo che ti costringe a giocare due volte a settimana. E’ qui, nel saper gestire spogliatoio e partite, che si vedono le capacità di Alvini, Angella e compagnia. Tanto da far virare l’obiettivo primario di una tranquilla salvezza in un play-off più che raggiungibile e giocabile con fiducia. Tanto da strappare applausi e da far uscire il popolo biancorosso più che soddisfatto da ogni partita come non accadeva da tempo e riavvicinare chi per mille motivi si è distaccato dall’ambiente. Insomma, avanti così, senza un attimo di tregua. «Cercando costantemente di migliorare e lavorando con passione, cuore e idee di gioco. Per noi, per la maglia e per la città». Così disse Massimiliano Alvini, che ormai possiamo convintamente collocare nel novero degli uomini veri. Quelli che piacciono alla gente e di solito lasciano segni indelebili.

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