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Banche Centrali, al comando la Fed

L’analisi di Angelo Drusiani

di Angelo Drusiani

TERNI – Ora la classifica è la seguente: Federal Reserve 4,75%, Banca d’Inghilterra 4,00%, Banca Centrale Europea 3,00%. Guidano gli anglosassoni, come spesso accade nei mercati finanziari. Ma in prospettiva la Banca di Francoforte potrebbe recuperare terreno. I dati sopra riportati si riferiscono alle decisioni in materia di tassi ufficiali che, tra l’1 e il 2 febbraio scorsi, le tre Banche citate hanno deliberato. I mercati finanziari avevano previsto con esattezza a che valori sarebbero stati fissati i nuovi tassi di riferimento.

L’aspetto più interessante è stata la reazione degli investitori che hanno premiato la strategia assunta dalle Banche Centrali nella seduta operativa del 2 febbraio: a parere quasi unanime, i rialzi del costo del denaro decisi ad inizio mese in corso rappresenterebbero il viatico per il ritorno a tassi calanti, grazie all’avvolgente manovra con cui le Banche Centrali stanno gradualmente riducendo il tasso d’inflazione. A prima vista, l’atteggiamento degli investitori potrebbe apparire fuori luogo, ma, in effetti, la scelta delle Banche Centrali non avrebbe potuto essere diversa da quella messa in campo. Anche se, non va dimenticato, la vicenda più complessa riguarda Eurozona e la BCE, perché il ritorno a valori elevati dell’inflazione è stato provocato soprattutto dall’aumento dei prezzi delle materie prime. In effetti, il valore del costo della vita in area euro scende, ma a velocità assai contenuta.
Il pensiero corre a quali settori produttivi affidarsi in prospettiva. Due sono le figure fondamentali che operano nei mercati finanziari: chi scegli il comparto azionario e chi quello obbligazionario. La maggiore frequenza, in effetti, è da parte di investitori nel comparto azionario, anche se vi sono fasi in cui i ruoli si invertono.
Il settore del comparto azionario più interessante è quello tecnologico. Anche alla luce della fortissima discesa dell’indice statunitense NASDAQ nel corso del 2022: calo attestato al 33,50%. Caduta causata dal timore che l’aumento dei tassi d’interesse avrebbe danneggiato, come in effetti si è verificato, l’intero settore. Molte aziende, che negli anni passati, hanno chiuso i bilanci con fatturati stellari e utili altissimi, hanno svolto l’attività, grazie ad aperture di credito da parte del sistema bancario. Il tasso d’indebitamento era di poco superiore allo zero: in sostanza a costi impalpabili. La svolta, che ha avuto nello scoppio della guerra in estremo oriente del vecchio Continente, uno dei momenti più difficili, è stata largamente penalizzante. Seguita, a poca distanza temporale, dall’inizio dei citati rialzi dei tassi ufficiali. In prospettiva, la strada dovrebbe essere in discesa, come si è anticipato. Le condizioni economico-finanziarie per le aziende del settore dovrebbero volgere al bello. Basti pensare all’utilizzo della tecnologia che dovrebbe venire utilizzata nella ricostruzione delle zone ucraine bombardate. Poiché la maggior parte delle aziende tecnologiche hanno sede oltre Atlantico, la loro quotazione è nella moneta locale, il dollaro statunitense. Il rischio cambio, naturalmente, incombe. Soprattutto se si opta per seguire direttamente l’evoluzione del cambio tra euro e dollaro USA. Meglio acquistare le azioni alla Borsa di Francoforte, le cui quotazioni, in ogni caso, risentono delle citate variazioni del valore della moneta unica nei confronti del biglietto verde statunitense.
A ruota, ma un poco distante, segue il comparto bancario. Da un lato, perché il sistema bancario riprenderà a finanziare non solo le aziende che operano nel settore tecnologico. In generale, il sistema stesso, come nel passato, dovrà sostenere il ritorno dell’economia alla normalità, dopo la fase pandemica e la citata guerra. Dall’altro, perché, quando tassi d’interesse e rendimenti puntano verso l’alto, il differenziale tra tassi attivi, per le banche, e tassi passivi, per le banche stesse, tende ad aumentare in misura significativa. È di pochi giorni fa la comunicazione di utili elevatissimi per una delle Banche italiane di maggiori dimensioni, Unicredit. Non ci si lasci condizionare dall’andamento negativo del titolo di IntesaSanPaolo nella seduta del tre febbraio, perché causato anche da forti svalutazioni sull’attività in est Europa, sempre nella parte interessata dalla guerra in corso.
Ma ci sono anche i BTP e i fratelli sparsi negli altri Paesi europei. Che spesso si presentano come concorrenti dei citati BTP, ma solo perché godono di un grado superiore di affidabilità. Le scadenze più appetibili, la quinquennale e la decennale. Per chi ha più elevata propensione al rischio, anche scadenze più lontane nel tempo. Si dirà, ma se i rendimenti salgono, le quotazioni cadono. Si risponderà che l’investimento dovrebbe essere di medio periodo, dodici, ma meglio diciotto mesi. Quando, verosimilmente, l’attuale situazione d’incertezza finanziaria e, non dimentichiamolo, politica-guerresca, sarà sperabilmente superata. Con rendimenti decennali che superano il 4%, sarebbe interessante dar vita ad un comparto obbligazionario, in cui la presenza di questa durata aumenti gradualmente. Tra diciotto mesi circa, il rendimento di questa tipologia di strumenti dovrebbe scendere decisamente. Assicurando plusvalenze interessanti per chi avrà conservato in portafoglio i citati strumenti. Basti pensare che se il loro rendimento diminuisce di circa un punto, il prezzo sale di circa 7,5 punti.
Per finire, ho avuto dubbi su guerresca, ma pare sia corretta. Più certezze su ciò che ho riportato.
“Ognuno sta sul cuor della terra,
trafitto da un raggio di sole:
ed è subito sera.”
A proposito. Mancava un accenno poetico, ma grazie a Salvatore Quasimodo me la sono cavata anche oggi!

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