DI ARIANNA SORRENTINO
PERUGIA – Nell’epoca dei social media quanto è smaterializzato il corteggiamento? O quanto l’attività sessuale? Via web, anche la più materiale delle attività umane è trasferibile: molte delle attività di stretta competenza biologica – tempo libero, intrattenimento e ricerca del partner – vengono spostate nei social. Questo è stato uno tra i temi trattati durante l’incontro del pomeriggio di venerdì 31 marzo nella sede dell’Ordine dei medici di Perugia riguardo l’influenza dei social media sui processi cognitivi del cervello e delle relazioni umane.
Un convegno di spessore per analizzare le conseguenze – positive e negative – della rapida crescita dalla tecnologia che coinvolge soprattutto le nuove generazioni. Cosa si è modificato? I rapporti sociali, il linguaggio – fin troppo breve – la capacità di narrare e fare poetica. Lo ha introdotto Doretta Marinelli Tieri, presidente Ammi – associazione mogli medici italiani – nella sezione di Perugia che ha aperto il convegno insieme alla presidente dell’ordine dei medici di Perugia Verena De Angelis.
Impossibile star dietro ai processi scientifici e tecnologici che hanno raggiunto soprattutto negli ultimi anni livelli di crescita impensabili. Due i relatori del convegno che hanno avuto il compito di individuare i vantaggi e i pericoli di un uso eccessivo dei social media, Rosella De Leonibus, psicologa e psicoterapeuta e Maria Rinaldi Miliani, social media manager, i cui interventi sono stati moderati dal direttore di Umbria7 Marco Brunacci.
«5,16 miliardi di persone hanno accesso a Internet e 4,7 hanno almeno un social – spiega la social media Miliani – ad oggi sono circa 250. Solo nel 2022 sono cresciuti del 3%. Consideriamo il lato simpatico dei social. Alcuni esempi: Stache passions, un social dedicato a tutti gli amanti dei baffi. O Anobi, che permette di diffondere la cultura: è per tutti gli appassionati di libri e lettura. Oppure intellect connect per condividere idee e teorie di fisica e matematica». Non solo rischi quindi. E si è partito proprio da questo tema: le opportunità. Ma attenzione. «I social sono come dei coltelli – conclude – Possiamo preparare una ricetta fantastica tagliando alimenti ma non li daremmo mai a dei bambini di 5 anni. I social devono essere utilizzati con la consapevolezza che stiamo facendo qualcosa che può avere conseguenze».
E poi con la dottoressa Rosella De Leonibus si è dato uno sguardo approfondito sul concetto di identità – io mi vedo come tu mi vedi e da qui l’importanza del like sui social – quali sono gli organizzatori dell’identità e poi, come i social network rispecchiano la complessità del sistema sociale. «In questo senso le reti sono strumenti che connettono persone e informazioni – spiega – i social network gestiscono relazioni, informazioni, attività delle persone, immaginari, riferimenti culturali, valori e affetti, le aspettative sul futuro determinano le scelte, l’immagine di noi stessi nel mondo, i desideri e gli equilibri esistenziali. Si riorganizza il modo di pensare all’identità, si ricostruisce l’orientamento nei sistemi di relazione con gli altri e nella nostra vita». E da qui, il personale diventa pubblico. «I social diventano il palcoscenico dell’estimità, cioè la vita intima è esposta al pubblico – continua – confidenze liberatorie, esibizioni, la ricerca di una risposta pubblica a domande intime. E ci si perde, l’identità diventa fragile». Quali sono le attenzioni irrinunciabili nell’era dell’identità sociale? Lo spiega Rosella De Leonibus attraverso delle slide: «Ricostruire percorsi narrativi dell’identità per riconnettere i frammenti dell’umanità liquida. Recuperare la fascinazione della narrazione del gruppo e del mondo. Anche recuperare il gusto di scegliere il bello, davanti all’ostensione di tutto e alla esaustività delle immagini. Il bello rinvia sempre a qualcos’altro e utilizza la percezione in modo simbolico e metaforico. Accogliere l’altro nella sensorialità e nella intercorporeità, in relazioni interpersonali sane e risananti». E quindi, quale è la sfida? «Connettersi in modo fluido. Serve però un’educazione mediale, educare cioè all’uso dei new media».
O – 3 anni: videoschermi vietati
3 – 6 anni: il tempo delle regole
6 – 9 anni: alla scoperta del mondo
9 – 12 anni: relazioni nel gruppo e inizio autonomia
12 anni: gestire il distacco verso la piena autonomia
(A. Olivierio, citato da Daniele Novara)








