di Carlo Favetti
FERENTILLO (Terni) – Giusto e doveroso per noi cronisti scrivere e tramandare ricordi di momenti vissuti quando tutto era semplice e pulito, fresco, vero , autentico e originale. Voci di donne che non ci sono più, strette dall’amicizia e affettuosità fraterna. Continuiamo a raccontare i detti e le curiosità del territorio della Valnerina, singolare per le tradizioni, per gli usi e i costumi di un popolo legato alla fede, alla terra e agli affetti familiari.
Dopo aver riscoperto e spolverato le storie dei personaggi che riposano nel cimitero museo delle mummie a Santo Stefano di Precetto, questa volta ci spostiamo più in alto sulle montagne sovrastanti i paesini di Castellone, Colleolivo, quindi le alture del Salto del Cieco e la sua leggendaria osteria della dogana. Torniamo indietro nel tempo, esattamente nel primissimo dopo guerra. In Pane Zucchero e Vino ( raccolta di racconti di prossima pubblicazione) pubblichiamo un passo assai significativo e ricco di ricordi di grande impatto e suggestione. “Andavo in estate spesso a villeggiare al Salto del Cieco, mi affidavano i miei nipotini Luigina, Luigi, Gisella, Paola e Lucia già grandicella. Mio cugino Arnaldo, che teneva il negozio a piazza Garibaldi a Ferentillo, ci preparava in un sacco i rifornimenti di viveri, sufficienti per una quindicina di giorni e via…..ci spediva in montagna. Era un periodo un po’ scuro per l’Italia. Ci apprestano alla guerra, ma noi giovani non avevamo ancora in mente ciò che sarebbe accaduto. Spesso, dopo aver scorrazzato tutto il giorno sui prati, a rincorrere i ragazzi che cavalcano sui cavalli, ci raccoglievamo, dopo cena, nell’aia a località Salto del Cieco, fino a tardi a goderci la frescura. Dopo che i ragazzi più grandi avevano messo a ricovero nei recinti gli animali, noi, in tanti, i bambini compresi, i giovani fratelli Bartoli, la mia amica del cuore Annamaria, Luigi Bartoli, tutti ad ascoltare Loreta. Ed e’ Loreta che allietata con le sue storie le serate. Storie pregne di valori e sani principi”. Questo ci e’ stato tramandato da Vincenzina, ormai scomparsa, che di Loreta ci ha trasmesso a noi, e noi, di conseguenza, vogliamo divulgare a tutti coloro che hanno il tempo di leggerci e apprezzare.
Tanti sono i detti e i racconti. Ogni frazione ne conserva gelosa. Ogni ricorrenza accompagna con i suoi riti e usanze come la nascita, il matrimonio, il fidanzamento, la gioventù, la vecchiaia e infine la morte. “Un evento importantissimo era la nascita raccontava Loreta. L’ evento avveniva in una stanza a piano terra se le camere erano dislocate ai piani superiori della casa. Ma ecco le usanze che accompagnavano il momento: nella camera era presente la madre della puerpera e la levatrice. ( si ricordano a Ferentillo 1900 -1961 Paolina Ortenzi Sapora e Rina Romanelli), lo sposo, tre o quattro amiche o parenti (fino al secondo grado di parentela. Al parto non potevano assistere donne gestanti, le donne non sposate o chiunque avesse difetti fisici. Si metteva sopra al comò l’immagine di Sant’ Anna (patrona di Castellone Alto) con davanti una candela accesa. Se il nascituro era maschio il grido era di gioia, se era femmina si esclama Pazienza! sara’ per la prossima volta, il maschio era sempre il più desiderato. Il parto gemellare era poco gradito (economicamente) in quanto comportava il doppio delle spese. Nella bacinella, in porcellana bianca o terracotta, dove veniva messo il nascituro per il bagnetto già era stata immersa la candela della Candelora, alcune foglie di palma benedetta, la corona del rosario. Alcuni esponevano anche la fede d’oro come auspicio di fortuna; la fede in argento affinché sia vivace; una piastrina di ferro perché sia forte, oltre a erbe aromatiche e amuleti.
Dopo aver fasciato il bambino, gli si poneva al collo un sacchettino a forma di cuore dove erano contenuti una immagine di Gesu’ o Santi, frammenti della Candelora e di palma benedetta, pelo di tasso, un pezzetto di ferro o polvere di luoghi sacri. Nelle fasce era fissato un nastro rosso. Si credeva che sarebbe stato felice chi nasceva settimino; di breve vita quello di otto mesi; fortunato chi nasce con la camicia (che viene essiccata e portata addosso tutta la vita, contro l’invidia). Se il nascituro presentava il naso lungo, “sara’ una spia”, con i capelli rossi “di animo cattivo”, i nati di venerdì saranno stregoni; di sabato felici; di domenica sfaticati; i nati di Gennaio saranno i primi e intelligenti. Contro il malocchio e le fatture si usava l’aglio raccolto nella notte di San Giovanni, possibilmente a tempo sereno. Contro le convulsioni si usava mettere antiche monete dello stato Pontificio ( in questi luoghi erano comuni trovare visto il confine) “sede vacante”; era detto da queste parti della Valnerina che ad una donna incinta nemmeno le streghe e le fattucchiere avrebbero fatto del male. Per prevedere il sesso del nascituro: sarà maschio se due persone, tirando lo sterno di un pollo, quello che dice maschio avrà la parte più piccola; oppure buttando a terra il pestello del sale e una scopetta viene raccolto prima il pestello. A parto avvenuto, la madre per ritornare in chiesa, dopo la quarantena veniva purificata dal sacerdote: veniva benedetta sull’ uscio mentre offriva un cero. Prima di quel giorno, la donna non poteva uscire di casa, se lo avesse fatto, avrebbe dovuto portare in testa un coppo. Poi abbiamo anche stornellate e burlate che il poeta dialettale Luigi Bartoli cantava e recitava per rallegrare le fresche serate sotto la luna.
Eccone ricordate alcune: “Fiore de melu quando te veco penso a questa solu: che le stelle non stanno solo in cielu; Fiore de linu, tu sai per corpa tua se quanno peno, ma tu li core ciao de travertino”. Ma il territorio cosparso di ulivi e dedito all’allevamento e agricoltura, molti erano i detti legati alla vita contadina. Ad esempio al paese di Colleolivo: per Santa Caterina e’ fatta la bianca e la nera (olive); per San Bastianu va alla costa e mira lo piano, se lo piano fa virdura aristrigni la cintura ( Matterella) ; Santa Eurosia benedetta salvace da lu fulmine e la saetta, scampare dalla grandine impetuosa dacce la spiga bella e rigogliosa (Precetto); San Pietro primo papa a te me rivolgo, famme fa presto stu figlio prete e liberace dalla fame e dalla sete. Chi non ha voglia de fatica’ sbirro e frate se vole fa’ (Macenano). Bene, ci sono tanti altri detti e storie da raccontare che testimoniano la cultura di questa parte dell’ Umbria ricca non solo di opere d’ arte ma anche di tradizioni antropologiche che non devono assolutamente scomparire. Gli anziani sono una ricchezza sotto tutti i punti di vista, proteggiamoli, coccoliamoci, amiamoli, assistiamoli, stiamo sempre con loro: uccide di più la solitudine che una malattia.


