Ast, a rischio 400 posti di lavoro

Dietro il braccio di ferro sull’accordo di programma il piano di Arvedi di chiudere l’area a caldo

Au. Prov.

TERNI – Venerdì 17 gennaio, nell’incontro tra l’assessore regionale Francesco De Rebotti e il sindaco di Terni Stefano Bandecchi è emersa una intesa.

Un’ intesa  – tra uomini pratici e navigati – che ha retto anche alle provocazioni del segretario del Pd Pierluigi Spinelli, che ha provato a farli  litigare.

E venerdì, nell’aula del consiglio comunale,  sono emersi anche i piani di Arvedi. Quelli che finora hanno portato l’azienda a non firmare l’accordo di programma. Un documento pronto a sganciare 300 milioni di finanziamento pubblico ma che chiede ad Arvedi precisi impegni sul futuro. Dunque i soldi pubblici possono arrivare solo se verranno spesi per la transizione ambientale dell’area a caldo.

Ma più giorni passano,  più emerge che il cavaliere Arvedi vuole avere le mani libere a tal punto da disfarsi  dell’area fusoria, quella delle colate a caldo che richiedono grande consumo di  energia elettrica. Più tempo passa più emerge che Arvedi preferisce comprare i semilavorati dall’Asia a prezzi vantaggiosi, destinando a Terni solo la lavorazione ed evitando fusioni molto impattanti dal punto di vista ambientale. La rinuncia dell’area a caldo vuol dire risolvere in un colpo solo tutti i problemi ambientali: niente più fumi, niente più scorie, niente più polveri. I cieli di Terni tornerebbero liberi dal nichel e dal cromo. Per tutto questo il prezzo da pagare sono gli ottocento/mille posti di lavoro legati alla fusione. La metà degli occupati di Ast. Nei piani di Arvedi parte della forza lavoro verrebbe recuperata con la riapertura del magnetico. Anche in questo caso verrebbero utilizzati i semilavorati provenienti dall’Indonesia e a Terni si tornerebbero a fare quelle lavorazioni dismesse nel 2004, sotto la regia di Lucia Morselli. Secondo i calcoli di alcuni esperti sul terreno rimarrebbero 400porti di lavoro. Una perdita significativa, ancor più dal punto di vista strategico. Ast, l’Umbria e l’intero Paese perderebbero uno dei pochissimi impianti siderurgici ancora aperti a ciclo integrale, rinunciando ad una produzione strategica come quella dell’acciaio e diventando dipendenti dalle importazioni da Paesi instabili come quelli asiatici.  E’ presto per dire se Arvedi attuerà il suo piano lacrime e sangue, fatto di rinunce e tagli.  Tra pochissime ore, comunque,  si capirà se firmerà l’accordo di programma impegnandosi a dare un futuro alla siderurgia italiana o se preferirà concentrarsi sulle lavorazioni metalmeccaniche.

Le carte sono destinate ad essere scoperte in una partita che comunque ha già generato incertezza e disorientamento. Una partita, quella della vertenza sull’energia elettrica, tutta ternana. Perché come hanno sottolineato sia il sindaco Stefano Bandecchi e sia l’assessore Francesco De Rebotti, a Cremona Arvedi si è guardato bene dal tirare fuori il costo delle bollette energetiche.  

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