TERNI – A tre mesi esatti dall’inizio della fase di demolizione del vecchio cinema teatro Verdi (il 7 ottobre 2024), quando il destino architettonico di quel “segno” cittadino sembrava ormai tracciato, si rimette in discussione il progetto.
Non tutto, come avvenne per gran parte del 2023, ma una parte. Il ridotto (un piccolo teatro sotto la platea). Stefano Bandecchi lo ha dichiarato pubblicamente il 7 gennaio 2025, con il termine lavori fissato per il 2026 . Lavori partiti a luglio 2023 che in un anno e mezzo hanno portato, appunto, a demolire l’esistente e poco più. Un periodo lungo che ha visto la nomina di un superconsulente a cui però è stato consentito di entrare in cantiere per i sopralluoghi di rito una sola volta in 13 mesi – infatti si è dimesso – e la sospensione dei lavori per la presenza di sei nidi di rondine.
Un periodo duro per la sola attività commerciale sopravvissuta in via Sant’Agape (chiusa al traffico) e per i residenti, che però avevano di fronte la prospettiva della riqualificazione dell’intera area e la restituzione del loro tempio della cultura. «Per chi conosce bene il tema – interviene l’ex assessore ai Lavori pubblici del Comune di Terni e consigliere regionale, Enrico Melasecche – ricorderà che la progettazione del ridotto fu di fatto obbligata per il meccanismo tecnico burocratico derivante dalla mancanza iniziale del finanziamento PNRR intervenuto dopo il Covid. Per questa ragione, occorreva non perdere i finanziamenti fra cui uno regionale – che ho fatto prorogare pochi mesi fa (quando era assessore alle infrastrutture della regione Umbria, ndr) per non doverli togliere al Comune di Terni che non era riuscito ad utilizzarlo da tempo immemorabile – fu suddiviso il progetto strutturale in due stralci funzionali di cui il ridotto costituiva il primo. Nel frattempo sono accaduti tre fatti in importanti. Innanzitutto è pervenuto il finanziamento PNRR che ha consentito di andare a completare l’intera opera, quindi anche il secondo stralcio, con la coincidenza ulteriore che entrambe le gare fossero vinte dallo stesso soggetto per cui è stato possibile unificare i due appalti con un risparmio derivante dal mancato smantellamento del primo cantiere e dalla mancata realizzazione del seconda oltre a guadagnare almeno un anno».

«Tornano a vantaggio ulteriore della realizzazione senza il ridotto – la considerazione di Melasecche – la riduzione dei tempi di esecuzione e la riduzione del rischio di ritrovamento di reperti archeologici (improbabili ma possibili) visto che non si deve scavare e palificare l’intero perimetro. Non c’è dubbio che il progetto architettonico fuori terra rimane identico e pienamente valido, frutto di battaglie non comuni per la realizzazione di un’opera di cui Terni andrà orgogliosa per generazioni. Viene da sorridere nel leggere le cronache del tempo che criticavano il Poletti in quanto ritenuto un eccessivo innovatore rispetto ai canoni di metà ‘800. L e stesse critiche abbastanza conservatrici che oggi alcuni fanno rispetto ad un progetto, l’unico e migliore possibile lo ricordo agli smemorati, che è emerso dai numerosi confronti con la Soprintendenza e il Ministero allora dei Beni Culturali ma anche da un bando internazionale di idee cui gli architetti criticoni non hanno neanche partecipato.
Ricordo anche che telefonai io a Vittorio Sgarbi ed andai a Roma nella sua bellissima abitazione, portando sia Latini che Giuli, per un confronto serio che non ho mai rifiutato.
Ben venga quindi oggi una semplificazione che rende ancor più certa la conclusione dell’opera.
Basta però con le inutili declamazioni, le ridicole minacce di legarsi ai cancelli finite poi nel nulla, basta con la scusa delle rondini.
L’intera città vuole inaugurare nel 2026 il nuovo bellissimo Teatro Verdi con un’opera del maestro di Busseto per riacquisire il proprio tempio della cultura di cui vi sentiamo tutti orfani da almeno 17 anni, da quando per ragioni di sicurezza non fu più possibile utilizzarlo»


