Prendere sul serio il lavoro da casa, anche in Umbria

«Facilita la conciliazione di vita e lavoro e perciò può essere considerato tra le politiche per la famiglia e la natalità»

Giuseppe Croce – Sapienza Università di Roma

Dopo l’emergenza del Covid oggi in tutta Europa è in atto una rivoluzione silenziosa o, per essere meno enfatici, quella che appare quanto meno la sperimentazione su larga scala di nuove modalità di lavoro e di conciliazione di lavoro e vita, quella del lavoro da casa. Se guardiamo i dati è evidente che quello che sta avvenendo non è un aggiustamento marginale ma qualcosa di ben più rilevante.

Nel 2019, l’anno prima del Covid, in Italia lavorava da casa il 4,7% di tutti gli occupati, neanche un lavoratore ogni 20. Di questi, il 3,7% lavorava da casa abitualmente, come modalità prevalente, mentre solo l’1,1%, una specie di nicchia del mondo del lavoro, lavorava da casa occasionalmente. Nel 2024 il lavoro da casa abituale riguarda in Italia ancora la stessa percentuale di lavoratori del 2019 mentre coloro che vi lavorano occasionalmente sono saliti al 6,6%, sei volte di più della quota di soli 5 anni prima.

Ma i numeri sono ben maggiori se guardiamo al resto d’Europa. In quasi tutti i paesi il lavoro ibrido, la modalità di lavoro da casa occasionale, è oggi di gran lunga più diffusa rispetto a quella del lavoro svolto completamente da casa. In Germania riguarda l’11,3% di tutti i lavoratori, in Francia il 22,8, in Danimarca il 33,3%, in Olanda il 39,8%.

Sono numeri troppo grandi per essere ignorati. Da essi si possono trarre due indicazioni. La prima. Nei settori dove può essere praticato, è sempre più frequente il ricorso al lavoro ibrido. In pratica, alcuni giorni (normalmente pochi ma non pochissimi) alla settimana o al mese sono da casa anziché in presenza. Questa modalità è quella che consente di realizzare i benefici del lavoro da casa senza dare spazio agli effetti collaterali negativi. La seconda è che l’Italia fatica a fare sua questa novità.

Uno dei motivi per cui l’Italia arranca sulla strada di questa innovazione è probabilmente di ordine culturale. Il lavoro da casa è visto come benefit individuale, un favore da accordare al lavoratore. In altri casi il lavoro da casa fa paura perché vengono meno le forme di controllo (a volte solo presunte tali) abituali dell’impegno del lavoratore e richiede uno sforzo di innovazione organizzativa. Si trascura, quindi, il significato sistemico che esso può avere. Ignoranza, pigrizia, incapacità di condividere regole e costruire fiducia nei luoghi di lavoro sono le zavorre che non consentono all’Italia di progredire sulla strada di questa innovazione.

Eppure, il lavoro ibrido può avere effetti di sistema favorevoli che meriterebbero attenzione. Nella realtà dell’Umbria esso può essere uno strumento utile, certo non da solo, a tentare di rivitalizzare il tessuto sociale ed economico.

In primo luogo, il lavoro da casa facilita la conciliazione di vita e lavoro. In quanto tale può essere considerato tra le politiche per la famiglia e la natalità. Uno studio recente di ricercatori della Banca d’Italia ha mostrato che nei sistemi locali italiani una più ampia diffusione del lavoro da casa favorisce una maggiore occupazione nella fascia di età tra 25 e 49 anni, in particolare di donne. E questo effetto, guarda caso, è più marcato là dove si registrano carenze nell’offerta di servizi all’infanzia.

In secondo luogo, il lavoro da casa fa crescere la partecipazione al lavoro e l’occupazione in particolare nelle aree meno densamente popolate. Anche in questo caso non può sfuggire il significato per una regione come l’Umbria alle prese con lo spopolamento di intere porzioni di territorio. Se il turismo tradizionale, perlopiù mordi e fuggi, viene visto come una possibilità, spesso sopravvalutata, di tenuta delle aree interne, il lavoro da casa sembra poter dare un contributo significativo proprio favorendo proprio quei territori.

Infine, il lavoro ibrido rende meno pesanti i costi monetari e di tempo del pendolarismo. Anche questo offre un vantaggio importante a una regione come l’Umbria, in modo particolare, ma non solo, quella meridionale, sulla quale è forte l’attrazione per motivi di lavoro dell’area romana. La possibilità di alternare lavoro in presenza e lavoro da casa consente di mantenere la residenza in Umbria a qualcuno tra coloro che, lavorando a Roma o in altre città dell’Italia centrale, altrimenti sarebbe costretto a trasferirsi fuori regione. Ce n’è abbastanza per prendere sul serio il lavoro ibrido, anche in Umbria. Per farlo, e favorire una sua maggiore diffusione c’è bisogno dell’impegno di tutti gli attori coinvolti. Serve un’ottima connessione internet in ogni angolo della regione ma anche buoni collegamenti con le aree urbane vicine, a cominciare da quelli verso Roma. E poi serve l’impegno di imprenditori, nel pubblico e nel privato, a superare la trappola della ripetizione per inerzia degli schemi mentali e organizzativi abituali per diventare capaci di sperimentare il nuovo. E servono anche sindacati attenti alle esigenze che si manifestano sui luoghi di lavoro, che sappiano leggere con intelligenza le opportunità che si presentano, e che affianchino all’abito rivendicativo anche quello partecipativo. Agli enti locali, infine, si deve chiedere di facilitare la creazione di spazi di coworking nel territorio.

Le esperienze di tanti paesi e regioni europei ci dicono che il lavoro da casa porta in dote risposte a problemi reali. Anche in Umbria è tempo di avviare una sperimentazione più convinta e capillare. Sarebbe una grave responsabilità girarsi dall’altra parte.  

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