Tra Terni e Narni, vince il fatto che il Pampepato di Terni IGP si può produrre anche in provincia di Perugia

La sua storia, quella che oggi molti danno per antichissima, in realtà ha poco più di cent’anni

DIEGO DIOMEDI

Pochi lo sanno, ma il famoso Pampepato di Terni IGP può essere realizzato anche fuori dalla provincia di Terni. Lo stabilisce chiaramente il disciplinare di produzione, il documento ufficiale che definisce zona, ingredienti e modalità per potersi fregiare della denominazione protetta. Vi si legge: “La zona di produzione del Pampepato di Terni/Panpepato di Terni è rappresentata dall’intero territorio amministrativo della Provincia di Terni e dei comuni di Massa Martana, Marsciano, Todi, Fratta Todina, Montecastello di Vibio e Deruta, della Provincia di Perugia.” Insomma, il pampepato può nascere anche a ridosso di quei bolscevichi perugini che tanto amano punzecchiare Terni, miseriaccia.

Ma la vera sorpresa non è questa. È la storia del dolce stesso, che molti oggi raccontano come plurisecolare, quasi medievale (addirittura dai romani). La realtà è diversa: il pampepato, così come lo conosciamo oggi, non è affatto nato a Terni nei secoli lontani. Anzi, il suo “padre” è uno, ben preciso, e vive nel Novecento. A portare a Terni l’idea di un dolce speziato, ricco, scuro, fu Spartaco Pazzaglia. Lui, insieme ad altri maestri pasticceri come Oreste Del Vitto, contribuì nei primi decenni del secolo scorso a costruire la moderna tradizione dolciaria della città dell’acciaio. Pazzaglia prese un’idea – perché in effetti esistono dolci simili in Italia ma non solo – e provò a farne un prodotto tipico locale. La connotazione popolare che oggi tutti associamo al pampepato, la sua immagine di dolce “di famiglia”, prima semplicemente non esisteva.

Basta ricordare un dato fondamentale, che prima della Seconda guerra mondiale la cioccolata e il cacao amaro erano beni rari, da ricchi. Solo nel dopoguerra, con il boom economico, entrarono davvero nelle case degli italiani. Eppure, oggi, molti tendono a retrodatare la ricetta, accomunandola a preparazioni più antiche come i pani forti. Ma chi si occupa di storia dell’alimentazione sa bene che questa equivalenza non regge: seguendo quella logica, anche in Mesopotamia si sarebbe fatta la pizza. Un prodotto diventa tipico quando la sua storia, la sua forma e i suoi ingredienti prendono corpo in una tradizione riconoscibile e condivisa. Per il Pampepato di Terni questo momento arriva con Pazzaglia, all’inizio del Novecento. E c’è una prova molto concreta: nella guida del Touring Club Italiano del 1931 compare menzione del “pan pepato” (quindi non pampepato), esattamente in quegli anni in cui il dolce stava assumendo la fisionomia che conosciamo oggi.

Dunque, il Pampepato di Terni IGP è più giovane di quanto molti credano. Ma proprio per questo la sua storia è ancora più interessante, è il racconto di un’idea moderna che diventa tradizione, grazie a una città, i suoi pasticceri e un dolce capace di conquistare un territorio più ampio di quanto si pensi, compresa una fetta di laboriosissima provincia di Perugia.

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