PERUGIA – «La fragilità non è resa. Riconoscere la fatica, la stanchezza, il dubbio non significa mollare, ma assumersi fino in fondo la responsabilità di ciò che si è e di ciò che si fa. Resto, con tutta l’umanità, la consapevolezza e l’impegno che questo ruolo richiede». Lo scrive la sindaca Vittoria Ferdinandi sui social in risposta al quotidiano La Nazione che per primo ha riportato il suo post natalizio su fragilità e necessità di «non perdere la tenerezza».
«Scrivo queste righe perché il modo in cui alcuni estratti del mio messaggio natalizio sono stati ripresi rischia di tradirne il senso più profondo, generando un equivoco che sento il dovere di chiarire.
Rimanere in silenzio di fronte a una narrazione che travisa
completamente una riflessione sulla fragilità significherebbe, per me, venir meno al senso etico di quelle mie parole, abdicare ad un’idea di responsabilità pubblica verso le nuove generazioni.
Sono loro le generazioni che più abbiamo esposto a un racconto tossico, quello che trasforma la fragilità in un tabù, che li educa al terrore di non essere mai abbastanza, di non potersi fermare, di dover essere sempre perfetti e invincibili.
Per anni abbiamo chiesto loro di essere “resilienti”, come se gli esseri umani fossero metalli da temprarsi sotto il peso, e non carne viva che si ferisce, che si stanca, che ha bisogno di cura.
Questa risposta la scrivo soprattutto pensando a loro, perché è a loro che, come istituzione, sento il dovere di offrire esempi di adulti credibili.
Colpisce sempre quanto sia difficile, nel dibattito pubblico, restare sul tema della fragilità senza che venga immediatamente trasformata nel suo contrario: la resa, l’abbandono, il “mollare”
Come se riconoscere la fatica, la stanchezza, la paura di sbagliare, esperienze costitutive di ogni essere umano, significasse automaticamente venir meno alla responsabilità di un ruolo.
Il mio messaggio non diceva questo.
Diceva esattamente il contrario.
Ho scelto di condividere un momento di riflessione e di stanchezza perché credo che la fragilità sia una parte essenziale dell’esperienza umana, e che riconoscerla non indebolisca, ma renda più consapevoli, più attenti, più responsabili.
L’ho fatto anche, e forse soprattutto, perché sono la prima cittadina di Perugia. Perché so che molte persone si sentono sole nella loro fatica quotidiana e perché sentivo che quelle parole, parole vere, avrebbero potuto aiutare, accogliere, far sentire meno soli.
Le migliaia di messaggi ricevuti in questi giorni lo confermano. Se anche una sola persona si fosse sentita compresa, avrei saputo di aver scelto parole che salvano e non parole vuote.
Desidero rassicurare chi, leggendo titoli o estratti, ha temuto che io volessi lasciare il mio ruolo: non ho alcuna intenzione di farlo.
Le mie fragilità sono da sempre la mia più grande ricchezza, i miei anticorpi più affidabili contro la disumanizzazione della politica, contro la trasformazione delle persone in prodotti vincenti o perdenti da esibire.
Continuerò a parlare con le mie parole e con i miei pensieri. Non farò mie le parole dei politici terrorizzati dalla vulnerabilità, né lascerò che a guidarmi siano strategie che chiedono di smettere di essere persone per diventare
Se questo pagherà o meno non lo so, ma so che è l’unico modo che conosco per restare in questo ruolo con dignità.
lo resto una persona che si apre e sanguina, che si ammala e si demoralizza, che ride e piange, che tiene insieme il bello e il brutto, la fatica e lo slancio, la paura di non essere all’altezza e lo sforzo quotidiano per migliorarsi, il bisogno di sentirsi supportata e la forza di guidare con entusiasmo la mia squadra.
E credo profondamente che un sindaco che non si misurasse ogni giorno con un sentimento di inadeguatezza rispetto all’enormità della responsabilità che porta, sarebbe un sindaco incapace di comprenderne davvero il senso.
Le decine di messaggi di solidarietà ricevuti in questi giorni da sindache e sindaci di tutta Italia, che nel privato mi hanno confidato di confrontarsi quotidianamente con gli stessi sentimenti, ne sono una prova silenziosa ma potente.
Resto. Con tutta la fatica e la complessità ma anche la responsabilità, la bellezza e l’umanità che questo comporta».


