di Marco Brunacci
PERUGIA – Tra picchi di inflazione, stop&go del Covid, guai con le materie prime, rialzi di tassi ventilati e programmati, e, alla fine, la guerra in Ucraina con relative sanzioni, bisogna riscrivere la storia economica internazionale ma soprattutto italiana di questi primi due mesi e mezzo sciagurati del 2022, un anno che non intende essere migliore dei precedenti, almeno al momento.
Però se la piccola Umbria mette insieme due performance nel 2021 e le certifica l’Istat bisogna pur dirlo per non annegare in un mare di mestizia.
Dice Istat che il tasso di occupazione è salito in Umbria, nel 2021, al 64,4% che vuol dire qualcosa già di per sé ma molto di più se si raffronta con gli altri dati italiani. La media nazionale è del 58,2% (e pesa il ritardo del Sud) ma anche il Centro Italia resta indietro con una performance che si ferma al 62,5. Finalmente l’Umbria è tornata ai livelli del nord.
Nello stesso tempo il tasso di disoccupazione è sceso al 6,6%, con l’Italia al 9,5% e il Centro Italia all’8,6.
Il miglioramento sfiora qui i due punti ed è forse questo il dato macroeconomico più significativo dell’Umbria, non essendo direttamente conseguente (o almeno non del tutto necessariamente conseguente) del primo dato.
Si è detto per un anno intero che in Umbria era in corso una abbastanza scontata ripesa nella stagione post emergenziale del Covid, anche in virtù degli aiuti messi in campo dagli Stati nazionali. Ma i veggenti dell’economia strologavano di una ripresa senza occupazione.
Qualche centro studi si è spericolato fino a leggere alcuni dei primi dati dello scorso anno come la conferma di un aumento del Pil senza ricaduta positiva sul lavoro.
Errore. Ed è stato un errore rilevante visti i dati che arrivano adesso dall’Istat. Come dire: l’economia umbra soffre di una sindrome curiosa, ha un’immagine peggiore rispetto alle sue reali performance. Non si riesce a sincronizzare il sentiment della gente con la verità dei dati. Misteri umbri.


