Francesca Cecchini
TERNI – Spazio alla danza al teatro Sergio Secci di Terni con una delle coreografe più interessanti del panorama nazionale, tra le più apprezzate dal pubblico umbro, Silvia Gribaudi che porta in scena martedì 5 e mercoledì 6 aprile alle 21, nell’ambito della stagione di prosa del Tsu, “Graces”, spettacolo vincitore del premio Danza&Danza come Produzione italiana dell’anno nel 2019. Anche danzatrice, l’artista salirà sul palco con Siro Guglielmi, Matteo Marchesi e Andrea Rampazzo in un viaggio di abilità e tecnica che li porta in un luogo e in un tempo sospesi tra l’umano e l’astratto, dove il maschile e il femminile si incontrano, lontano da stereotipi e ruoli, liberi, danzando il ritmo stesso della natura.
«Lo spettacolo è nato nel 2019 – racconta a Umbria 7 la coreografa – poi realizzato in collaborazione con Matteo Maffesanti, ma ci stavo lavorando già dal 2017». Allora la Gribaudi era in residenza a Bassano del Grappa dove, al museo civico, sono custoditi alcuni bozzetti di Antonio Canova, tra cui, quello delle tre Grazie, opera realizzata tra il 1812 e il 1817, che rappresenta le tre creature divine Aglaia, Eufrosine, e Talia, figlie di Zeus, simboli di splendore, gioia e prosperità.
Il bozzetto cattura l’attenzione della coreografa che, dialogando con Roberto Casarotto, referente della danza di OperaEstate Festival, arriva a concepire una connessione tra l’arte di Canova e la sua danza: «E se queste tre Grazie fossero tre danzatori invece che tre danzatrici?» si chiede la Gribaudi. Così parte il progetto: realizzare uno spettacolo ispirato dall’opera del maestro veneto.

Potremmo definire lo spettacolo un “inno alla bellezza”?
«Sì. Dipende poi sempre come intendiamo la bellezza». Dai feedback degli spettatori che assistono allo spettacolo: «C’è una sensazione di freschezza, di libertà», un lavoro continuo di decodificazione per cui il «destrutturare crea uno stato di piacere. È come se le forme fisiche potessero in qualche modo abitare il corpo» arrivando a sentirsi a proprio agio in scena, ma anche in sala: «C’è una grande gioia che emerge. “Graces” è proprio un inno alla gioia e, in questo, c’è anche un inno alla bellezza».
Perché la scelta del quarto elemento in scena?
«Perché per me c’è sempre un dialogo molto acceso e attivo fra autore e interprete». L’opera è creata dall’autore ma ad agire è anche chi va in scena con il proprio corpo: «Canova ha scolpito le tre Grazie ma poi sono loro che prendono vita, che diventano protagoniste». Diversi i casi anche nel balletto antico: «come “La morte del cigno”: Fokine era il coreografo, ma Anna Pavlova a un certo punto ne rivendica il valore autoriale. Anche in questo caso, in “Graces”, chi è l’autore? Di chi è l’opera? È dei performer, quindi delle tre Grazie, o è del coreografo?».
La performance si muove tra la Gribaudi/autore in scena, come se Canova fosse con le sue Grazie, creando in qualche modo un dialogo con il pubblico, e i tre uomini sul palco: «Tre maschi differenti, molto diversi fisicamente fra loro. Mi piaceva essere un elemento femminile che però riporta a dei corpi con delle curve, che sono legati a un certo tipo di bellezza più neoclassica. Anche in questo c’è un po’ un mescolare i numeri ma anche i concetti di maschile e femminile. Questi sono i due piani: uno è più legato al concetto di spettacolo, l’altro invece è più concettuale, anche rispetto al ruolo di autore da attribuire. In un certo senso “Graces” è mio, ma è anche dei danzatori che sono in scena. Tanti materiali sono venuti fuori grazie alla loro presenza».

Uno spettacolo in continua evoluzione?
«Sempre, come in generale tutti i miei lavori, ma in particolare “Graces” che ha avuto l’opportunità di essere portato in scena in tutta Europa». Quasi cento le repliche in luoghi diversi, fattore che ha fatto sì che, nel corso del tempo, si riuscisse a «Mettere al centro la relazione con il pubblico, unica cosa che rimane costante». Uno spazio della relazione che consente, di volta in volta: «di entrare in un luogo sconosciuto per incontrarsi».
Questa relazione con il pubblico è concettuale o c’è interazione?
«L’interazione c’è perché è un dialogo continuo su cosa è la bellezza. Possiamo dire che nei miei lavori c’è sempre un tentativo di relazione attiva con il pubblico. Sicuramente un dialogo di responsabilità reciproca».