di Aurora Provantini
TERNI – Avrebbe compiuto 110 anni mercoledì 27 aprile. In quanti se lo ricordano Renato Rascel? Il “piccoletto nazionale”, autore originale, interprete raffinato, inconfondibile cantante e comico. Un grande comunicatore, capace di raccontare il mondo con semplicità ed eleganza. «Oserei dire che il suo talento sia derivato dalla capacità di osservare quello che accadeva intorno a sé e di concentrarsi nel restituirlo con situazioni sceniche, battute e interpretazioni surreali». Elisabetta Castiglioni, giornalista e scrittrice, ricorda l’artista che l’ha appassionata a tal punto da dedicargli un saggio: “Renato Rascel. Un protagonista dello spettacolo del Novecento”, in uscita per Iacobelli editore nelle principali librerie italiane e sulle piattaforme digitali.
«Dal teatro al cinema, dalle canzoni alle favole per bambini, tra palcoscenici, set, libri, giornali, microfoni e piccoli schermo, Renato Rascel era un unicum. Dopo molti anni dunque – segnala l’autrice – ho ritenuto opportuno ricordare un personaggio talentuoso a tutto tondo. Che sapeva egregiamente cantare, suonare, comporre, recitare, scrivere. Che, in prima istanza, sapeva comunicare e trasmettere buonumore. E questa è una cosa che in pochissimi sono riusciti a fare!»
«Il mio interesse per la figura di questo speciale “one man show” – racconta – risale a metà degli anni Novanta, quando ero immersa in ricerche universitarie sul linguaggio del comico, in particolare sul mondo dell’avanspettacolo dove Rascel, come anche molti personaggi di questo cosiddetto “teatro minore” si erano allenati prima del debutto sui grandi palchi. Successe in quel periodo di imbattermi in alcuni suoi copioni esilaranti e contemporaneamente (forse segno del destino) conobbi la sua terza moglie e compagna di lavoro Giuditta Saltarini. La sua gentilezza e il suo ascolto riguardo alle mie intenzioni di approfondire la conoscenza del lavoro di suo marito, la portarono in breve tempo a raccontarmi aneddoti ed esperienze che mi aprirono un mondo nuovo».

«Quando poi lei spalancò le ante di un armadio e aprì qualche cassetto, ecco che il mondo che stavo immaginando si concretizzò in un universo luminoso. Un pezzo di storia del Novecento talmente frastagliato che all’inizio ebbi quasi paura di affrontare le mille sfaccettature artistiche e avventure di questo uomo-jolly, tanto era tanto ciò che aveva fatto. Cosi, tra archivi privati e pubblici, emeroteche, mediateche e interviste a chi ancora l’aveva conosciuto in un’epoca, ci tengo a sottolineare, dove internet non aveva ancora preso il sopravvento, sprofondai in questa meravigliosa ricerca in cui la mia testa si metteva nella sua».
«Una testa condizionata dal condimento del contesto sociale, politico e artistico di ogni decennio artistico da lui vissuto, in cui spesso i suoi testi cercavano di andare oltre le costrizioni vigenti. Penso al ruolo della censura del primo periodo e alla severità di un duplice tipo di pubblico: l’istintivo plebeo e l’intellettuale borghese. L’intelligenza emotiva “rasceliana” andò oltre ogni genere, ogni misura, ogni fruizione e percezione standardizzata per uniformarsi, col suo garbo e la sua arguzia, nel cuore di tutti».
«La sorpresa più grande è di aver scoperto che la sua grandezza derivava dall’essere un autodidatta intelligente e “spugnoso”, capace di ascoltare lo spettatore ed intuirne i suoi umori. Insomma, un autentico “servitore” dello spettacolo. Un artista dalla scrittura creativa ancora attuale ed estremamente comunicativa».

Nato nel 1912 e morto nel 1991, Rascel ricopre fulgidamente l’attività di musicista, interprete, regista, compositore, ballerino, cantante, autore – in pratica un affabulatore della propria poetica, stralunata ed elastica – dagli anni Trenta agli anni Ottanta, toccando indistintamente le corde comiche e drammatiche, senza mai pretese intellettualistiche.
Il “caratteraccio” di Rascel? «Molti lo ricordano per questo. Da profana lo considero professionismo. Non l’ho conosciuto ma l’ho “respirato” per un triennio sulla carta di copioni, libri, giornali, racconti. Ecco dunque la mia decisione di rendere un doveroso omaggio al grande “Piccoletto nazionale”».