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Il pendolo ha suonato

L’analisi di Angelo Drusiani

di Angelo Drusiani

TERNI – L’orologio finanziario della settimana scorsa ha suonato! Per non farsi notare, l’orologio stesso si è vestito da pendolo e ha cercato rifugio in un pregiato mobile in legno. E nel momento in cui ha suonato, negli Stati Uniti è stato reso noto il valore raggiunto dal tasso d’inflazione nello scorso mese di ottobre. Un dato inatteso, perché il  Bureau of Labour Statistics (BLS) americano ha comunicato che ad ottobre 2022 il costo della vita è aumentato del 7,7%, in calo di mezzo punto dall’8,2 per cento di settembre scorso. Perché ha suonato il pendolo? Per comunicare “erga omnes” che la politica monetaria sta lentamente vincendo la competizione con l’aumento del costo della vita.

Per ora negli Stati Uniti d’America, dove, peraltro, il rialzo dell’inflazione riportato nel grafico è frutto dei consumi di una popolazione che, negli ultimi anni, evidenzia ancora una propensione ai consumi stessi di livello elevato. E, grazie a ciò, la politica monetaria della Banca Centrale, la Federal Reserve, risulta particolarmente efficace, perché al rialzo dei tassi corrisponde un aumento dei prezzi al dettaglio. La prima conseguenza è un calo, per ora modesto, degli acquisti. Modesto sì, ma un segnale che produttori e dettaglianti colgono immediatamente Più complessa è la medesima attività, per ora, in Eurozona, perché a causare il sensibile rialzo del costo della vita sono i forti incrementi delle materie prime, condizionati anche dalla guerra tra Russia e Ucraina. Materie prime, peraltro, presenti in discreta misura oltre Atlantico, ma quasi una rarità nel Vecchio Continente. Condizione che finisce per ritardare gli effetti degli analoghi aumenti del tasso di riferimento attuati dalla Banca Centrale Europea. Alla notizia del tasso d’inflazione USA, gli indici azionari di New York hanno accantonato in sole 24 ore l’esito del voto di medio termine statunitense, manifestando forse un entusiasmo eccessivo alla comunicazione stessa. Ma il desiderio di rivedere la luce, per gli investitori statunitensi e di mezzo globo, era ed è molto grande, alla luce degli arretramenti che gli indici stessi hanno subito nel corso di quest’anno. Basterebbe un valore per evidenziare la corsa agli acquisti di azioni largamente deprezzate, quelle delle aziende tecnologiche. Il NASDAQ, il mercato nel quale vengono principalmente scambiate le azioni dei giganti della tecnologia ha guadagnato nella seduta del 10 novembre scorso, data in cui il citato valore dell’inflazione è stato comunicato, il 7,49%. Ma si aggiunga un secondo valore: lo Standard & Poor’s, altro mercato a forte valenza tecnologica, ha guadagnato, in contemporanea, il 5,54 per cento. “Una rondine non fa primavera” è vero, come recita l’antico proverbio, ma la voglia di tornare alla normalità economica, finanziaria e di vita è davvero tanta. Al punto di ricorrere all’esagerazione. Anche perché una componente del rialzo del valore dei citati indici, ma anche di altri, sia oltre Atlantico, sia in Eurozona, è quasi sicuramente da attribuire alle cosiddette ricoperture. In sostanza ad acquisto di titoli azionari precedentemente venduti “allo scoperto”, ricorrendo a prestiti spesso costosi dei titoli azionari stessi. Al tempo stesso, parrebbe di cogliere un segnale molto pratico: una consistente parte di investitori ritiene fondata l’idea che il rialzo eccessivo e ravvicinato del tasso di riferimento statunitense, e a rimorchio delle altre Banche Centrali, come fino ad ora si è manifestato, possa essere mitigato. I maggiori costi a carico delle aziende non solo ridurranno fatturati e utili prospettici, ma potrebbero avere effetti rilevanti sull’occupazione. Con un conseguente e più marcato calo dei consumi. Ma che dire? Il Presidente della Federal Reserve lo ha già messo in conto: forse i prossimi aumenti del tasso di riferimento statunitense saranno in ogni caso meno corposi, ma la politica monetaria decisa qualche mese fa continuerà. Non più rialzi di 0,75 punti, ma più contenuti. Forse al raggiungimento del tasso di riferimento a stelle e strisce al 5%, un punto in più rispetto all’attuale, potrebbe esserci una prima sosta da parte della Federal Reserve. Ecco perché “una rondine non fa primavera”, ma potrebbero davvero apparire a primavera 2023 i primi consistenti segnali d’inversione di tendenza dei mercati finanziari mondiali. E, se accadesse, la rondine avrà bene interpretato il segnale che il pendolo ha suonato giovedì scorso! L’ho solo sfiorato il voto statunitense di metà mandato. Ma ne hanno parlato tanti altri!

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