di Carlo Favetti
TERNI – La figura e l’opera del Michelangelo Merisi da Caravaggio rimane sempre attuale più che mai, mostre film documentari attribuzioni fanno di questo artista il più moderno il più libero il più sensuale della storia dell’arte. Intanto a Palazzo Leoni, a corso Tacito di Terni, impazza soprattutto per le scolaresche la visita alle opere di Artemisia Gentileschi e del Merisi. Sparse per il mondo sono le attribuzioni riferite ad opere del Caravaggio eseguite da alcuni dei suoi discepoli.
Ci spostiamo a Rieti questa volta dove il ternano Alvaro Caponi (professore e artista e studioso di storia) dopo la sua attribuzione al Caravaggio e il ritrovamento del documento dove la sua tesi viene confermata dal vescovo di Spoleto Giacinto Lascaris (tesi riferita al dipinto della cena di Emmaus nella chiesa Arrone), torna con un altra opera importantissima, ossia l’Angelo Custode situato nella chiesa di S.Rufo a Rieti (nella foto). Come afferma lo stesso Caponi quest’opera e’ sicuramente del Merisi, anche se molti critici affermano che sia dello Spadarino. Ci sono delle affinità stilistiche con altri soggetti uguali dipinti dallo stesso Caravaggio. Il Merisi all’epoca abitava a Roma in una casa di proprietà di Prudenzia Bruni e di Bonifacio Sinibaldi di Rieti. Sinibaldi a Roma aveva una vendita di pellami in via della scrofa ed una casa a campo Marzio.Caravaggio rimase arretrato nel pagare l’affitto,circa 6 mesi. Alcuni documenti come afferma il Caponi attestano che ci fu un sequestro dei beni con cinque opere ed altre cose. E’ facile a questo punto poter pensare che una di quelle potesse essere l’opera che e’ nella chiesa di Rieti. Altre informazioni del Caponi sono che Caravaggio oltre a pagare gli affitti arretrati ha dovuto pagare anche il risanamento delle stanze perche’ sventrate per ingrandire e per avere più luce per dipingere. Nello studio Caravaggio viveva con il suo garzone,che aveva ritratto piu’ volte, di nome Francesco Buonezi, conosciuto poi come l’artista Cecco di Caravaggio…unico suo allievo. Il contratto di locazione della casa dove ha vissuto, e’ stato stipulato l’otto maggio del 1604. In questa casa però appare registrato con il suo garzone nel 1605 nel registro degli statuti delle anime della parrocchia di S.Nicola dei prefetti. Caponi cita anche i notai che presero parte per il sequestro: primo Mariano Pasqualone che denunciò Caravaggio al tribunale criminale del governatore di Roma perche’ lo bastono’ alle gambe e, con la spada di piatto lo colpi’ in testa; Il secondo notaio fu Alberto Roscetti che esegui annotando tutti i beni di Caravaggio, compreso cinque opere. Alberto Roscetti era il promesso sposo della figlia del Sinibaldi proprietario della casa insieme a sua moglie. Ora analizziamo il dipinto: anno 1610/18, olio su tela, e raffigura un passo biblico del libro di Tobia. Il salvataggio da parte dell’ Arcangelo Raffaele del fanciullo Tobiolo. L’arcangelo è raffigurato come un angelo custode alato che abbraccia e protegge Tobiolo che osserva intimorito il dirupo in cui era procinto di cadere ( tentazioni demoniache). Le figure, pregne di luce, emergono chiare dal fondo scuro; le forme anatomiche sono precise di puro e chiaro realismo caravaggesco. Il Guardabassi lo attribuì alla scuola caravaggesca; il Magni allo stesso Caravaggio; Giuseppe Colarieti Tosti che restaurò nel 1912 il dipinto lo considerò un Caravaggio. Ma nella prima metà del’900 emersero documenti attestanti il periodo della realizzazione ossia 1610/1618 ( epoca in cui il Caravaggio era già deceduto). Quindi la tela fu considerata opera di suoi allievi come Orazio Gentileschi oppure l’ altro allievo Giovanni Antonio Galli detto lo Spadarino (per analogie stilistiche con altre opere). Nel 1996 però, colpo di scena: il dipinto fu posto all’attenzione della dottoressa Malena B. McGrath che lo sottopose a “lampade di Wood” ed emerse, sotto l’attuale dipinto, un’altro disegno più incisivo, evidenziando segni diversi sia nelle gambe che nei piedi. La stessa McGrath accosto’ la testa dell’Arcangelo a quella del “Narciso” di Caravaggio (nella foto). Ma andiamo, ed e’ doveroso, conoscere, per sommi capi la chiesa di San Rufo di Rieti, attualmente chiusa a causa dell’ultimo terremoto che ha capito tragicamente tutto il comprensorio. La sua origine e’ del 873 come cita il Chronicon Farfense “…Ecclesia Sancti Rufi”; il Santo titolare fu martirizzato a Rieti. La chiesa però fu rifatta nel 1141. Dopo varie modifiche e manomissioni fu ristabilita nel 1748 e consacrata nel 1760 affidata ai padri Camilliani; in stile barocco rococo’ su progetto dall’architetto Melchiorre Passalacqua. Nel 1842 l’ edificio fu dedicato ai Santi Camillo, Carpoforo e Rufo. Conserva ancora la cripta originaria. Il suo interno, ad una navata, conserva in controfacciata un bell’ organo del XVIII secolo attribuito a Giovanni Fedeli. Graziosi i quattro coretti lignei di gusto rococo’. Sulle pareti laterali della chiesa quattro altari con pregevoli tele e pale, così anche dietro l’altare maggiore la tela raffigurante l’estasi di San Camillo realizzato dal pittore Pierre Subleyras; altro dipinto raffigurante l’ apparizione del Sacro Cuore di Gesù a Santa Margherita Maria Alacoque del 1936; altro dipinto Madonna della Salute col Bambino Gesu tra Sant’ Anna e San Giuseppe fine XIX secolo di Giacomo Conti. In sacrestia sulle pareti affreschi di Antonino Calcagnodoro di fine ottocento.

