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L’umbro Ferdinando Tascini, ultimo carceriere di Mussolini in vita: «Teniamo viva la memoria della Liberazione»

Abita a Città di Castello e come ogni anno non ha voluto far mancare le sue forti parole e i suoi ricordi

CITTÀ DI CASTELLO (Perugia) – Ha 100 anni ma la sua voglia di libertà non si è mai sopita. Il tifernate Ferdinando Tascini, un secolo compiuto lo scorso 28 dicembre, è l’ultimo carceriere in vita di Mussolini ed è testimone vivente di momenti storici che hanno segnato la storia dell’Italia e del mondo: «Il 25 aprile è come la data di nascita di ognuno di noi, non si dimentica mai».

Con il solito piglio, il sorriso e la voce decisa, Ferdinando Tascini, non è potuto intervenire alle celebrazioni ufficiali davanti al monumento alla Resistenza altotiberina a Città di Castello, lui che ha visto in faccia Benito Mussolini a Campo Imperatore sul Gran Sasso e memorizzato ogni istante della prigionia e della liberazione da parte dei tedeschi e poi ancora nei mesi successivi i giorni che hanno portato alla liberazione del paese e alla Repubblica, ha comunque voluto manifestare vicinanza a tutti coloro che hanno preso parte alle manifestazioni pubbliche e più in generale agli Italiani tutti.

Nella sua residenza sulle colline tifernati, ha seguito la diretta televisiva e l’intervento del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che dall’Altare della Patria e poi a Cuneo ha richiamato tutti a «tenere viva la memoria della Liberazione e non dimenticare quanti hanno lottato per la difesa degli ideali di indipendenza e di libertà».

Grande è stata l’emozione di Tascini una volta ascoltato il discorso del Capo dello Stato: «Le straordinarie parole del Presidente Mattarella, mi hanno commosso e fatto sentire orgoglioso di essere Italiano e di aver dato il mio contributo come tanti altri, troppi con la vita purtroppo, alla affermazione della democrazia e della libertà che oggi tutti possiamo festeggiare».

Mentre pronuncia queste parole, Ferdinando Tascini, stringe tra le mani la copia della Costituzione che il sindaco di Città di Castello gli ha donato quando è stato ricevuto in comune per la consegna della targa ufficiale: circostanza che si è ripetuta anche in Prefettura su iniziativa del prefetto di Perugia, Armando Gradone: La Costituzione – ha aggiunto Tascini – dopo i tragici momenti della guerra è stata sempre e sarà per me e per la mia famiglia la bussola della vita che ci guida, di cui andare orgogliosi. Una bussola di vita che in particolare i nostri giovani dovranno sempre avere presente per orientarsi nel cammino della loro vita. Buon 25 Aprile a tutti, viva la libertà, via la Repubblica».

LA VITA DI FERDINANDO TASCINI

Ferdinando Tascini nasce a Todi il 28 dicembre 1922 da una famiglia contadina. E’ il terzo di cinque fratelli. Si iscrive all’istituto agrario “Ciuffelli” di Todi, ma è costretto ad interrompere gli studi per la chiamata nell’esercito durante il secondo conflitto mondiale. Inviato nel Montenegro per quasi un anno. Si arruola poi nell’arma dei carabinieri.

Richiamato in Italia viene scelto per una missione speciale e segreta. Si ritrova a sua insaputa a Campo Imperatore, sul Gran Sasso, a guardia di Mussolini. Un evento che segnò il destino dell’Italia della Seconda Guerra Mondiale di cui lui fu testimone, forse unico superstite. Il 25 luglio del 1943 infatti a Villa Savoia, re Vittorio Emanuele III comunicò al Duce, Benito Mussolini, che il Gran Consiglio del Fascismo aveva imposto la nomina del maresciallo Pietro Badoglio come suo successore al Governo. Mussolini viene arrestato dai carabinieri e portato prima sull’isola di Ponza e poi il 2 settembre sul Gran Sasso a Campo Imperatore.

Non passarono però neppure dieci giorni, è il 12 settembre, che per ordine di Adolf Hitler alcune SS e l’ex ufficiale Otto Skorzeny diedero il via a quella che in codice fu chiamata “Operazione Quercia”, Fall Eiche in tedesco, e che portò alla liberazione del Duce. Un autentico blitz portato a termine a oltre 2 mila metri di altitudine proprio sotto lo sperone del Gran Sasso.

Ancora oggi, confermano i figli, Massimo, primo dei quattro, titolare dell’azienda agraria a San Donino, Maria Teresa, Maria Francesca e Luca che segue le orme del babbo e del fratello maggiore con il quale tuttora lavora nella azienda agraria, il suo racconto è lucido e ricco di aneddoti: «I nostri genitori – hanno dichiarato – ci hanno insegnato con il loro esempio l’onestà l’ accoglienza, la disponibilità e la dignità. La mamma è mancata 10 anni fa ,avrebbe festeggiato con il babbo il traguardo dei cento anni».

Finita la guerra Ferdinando riesce a conseguire il diploma di perito agrario. Inizia la sua attività lavorativa presso varie aziende agricole del perugino. Nel ‘ 50  si trasferisce in Alta Valle del Tevere insieme alla moglie Adiana (“la maestra di Riosecco”) dove a Città di Castello crea una azienda agricola specializzata nella tabacchicoltura. Termina la sua attività lavorativa presso la Comunità Montana della città. Oggi vive a San Donino con la sua numerosa famiglia, quattro figli, nove nipoti e sette pronipoti, godendosi l’ombra della quercia centenaria da lui curata con amore.

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