DI DIEGO DIOMEDI
Prosegue il viaggio di Umbria7 nei 7 VIZI GASTRONOMICI, un tour nel mondo del gusto attraverso i sette vizi capitali. Si pensi a un pranzo o ad una cena, possibilmente tra amici, conoscenti o addirittura parenti. I 7 vizi, sotto forma gastronomica, usciranno tutti. Dalla gola all’invidia, dall’accidia all’avidità. Basta un banchetto per poter rappresentare i peccati capitali. Ma perderli è proprio un peccato…
Attese ancora altri sette giorni e di nuovo rilasciò la colomba fuori dall’arca, e la colomba tornò a lui sul far della sera; ed ecco, essa aveva una foglia di ulivo, che aveva strappata con il suo becco. Dal libro della Genesi, 8, 10-11
L’olio come lo conosciamo oggi è molto lontano dall’olio di ieri. Oggi si pone l’attenzione su chi compra l’olio al supermercato e quanto spende. Oggi si pensa che se non si hanno gli ulivi a casa o non si acquisti l’olio dal “contadino” vicino, non ci si curi della salute. Sicuramente tutto questo in parte è vero, d’altro canto però cozza con quello che è e risulta essere il consumo e la “reputazione” dell’olio di centinaia di anni fa.
Questo perché per i Greci prima ma soprattutto per i Romani, l’olio serviva per altri usi, non solo per l’uso alimentare. Forte naturalmente è la contrapposizione tra burro e olio, la quale divideva l’Europa e anche l’Italia e lo fa ancora oggi. Vedremo come però oltre a questi due grassi ce ne sia un terzo, alla base dell’alimentazione contadina ma molto spesso poco citato prediligendo i precedenti.
Tornando al fatto che l’olio veniva utilizzato “anche” in altri campi rispetto all’odierno e diffusissimo campo alimentare, Montanari ci offre una visione chiara e precisa:
L’olio serve per ungere il corpo. È un cosmetico: funzione che esso conservò nel mondo greco e romano.
Inoltre, l’autore precisa come sia vero il fatto che l’olio contraddistingue l’alimentazione mediterranea, ma lo fa anche con grandi limitazioni di ordine geografico e sociale poiché si garantisce un consumo solo nelle zone vocate. Dove non vi è produzione, il consumo dell’olio cala drasticamente, causa il suo alto prezzo.
Ancora però sull’utilizzo in termine non alimentare dell’olio, interviene Maurizio Sentieri nel suo libro oramai di qualche anno fa Cibo e ambrosia dove afferma:
Quello che comunque appare tipico della civiltà greco-romano e molto lontano dalla considerazione attuale dell’olio d’oliva e della sua mediterraneità, è l’uso non alimentare che di questo si faceva; un uso che era di un’importanza pari, se non superiore, alla sua destinazione come cibo. Tralasciando il suo utilizzo nelle abluzioni, dove l’olio mescolato con la cenere andava a comporre un’emulsione detergente, l’impiego come unguento nelle palestre o più in generale per la cura del corpo costituiva un’altra forte motivazione alla sua produzione, così come al suo commercio.
È possibile, inoltre, aggiungere che l’olio viene usato in molte altre situazioni, quale per esempio l’illuminazione. Tutti gli anni, la città di Firenze dona a Ravenna dell’olio toscano per omaggiare il Sommo Poeta Dante. Questo olio serve per alimentare la lampada votiva, la quale rimane accesa tutto l’anno. Vediamo poi come nel XVI secolo aumenti la produzione di olio lampante per alimentare lampade votive e lucerne, ma come l’olio venga anche utilizzato nella produzione del vestiario in lana e nella saponificazione.
Un ultimo tema da affrontare unisce l’olio e il Cristianesimo. Proprio come i romani, il mondo Cristiano vede al centro dell’alimentazione e come riferimento della tavola religiosa la triade mediterranea. In questo caso, l’olio ancora una volta non sarà solo utilizzato in veste alimentare. per questo argomento, è di spiccata rilevanza cosa scrive Giovanni Rebora nel suo La civiltà della Forchetta:
L’olio della cresima, dell’ordinazione (compresa quella dei re), e dell’estrema unzione doveva essere olio d’oliva. L’olio che ardeva nella lampada dedicata al Santissimo doveva essere olio di oliva. Il limite della coltura dell’ulivo è noto a tutti, al di sopra la pianta non matura frutti e quindi non dà olio.
Dunque, si presenta davanti a noi uno scenario diverso rispetto alla narrazione classica sul consumo quotidiano di olio oramai da millenni sulle tavole italiane.
Nella prossima parte vedremo come l’olio abbia vissuto degli alti e bassi, soprattutto per una popolazione povera, drammaticamente povera, come quella contadina della nostra Italia.
Per approfondire la storia dell’olio si consiglia di visitare il MOO di Torgiano.
DAL SITO DEL MOO – FONDAZIONE LUNGAROTTI
Creato da Maria Grazia Marchetti Lungarotti su desiderio di Giorgio, il MOO Museo dell’Olivo e dell’Olio conferma una continuità di intenti con il MUVIT. Il museo è situato in un piccolo nucleo di abitazioni medievali all’interno delle mura castellane ed è gestito dalla Fondazione Lungarotti Onlus.
Il percorso si snoda lungo undici sale e si apre con informazioni redatte dal C.N.R. sulle caratteristiche botaniche dell’olivo, sulle cultivar più diffuse in Umbria, sulle tecniche tradizionali e d’avanguardia di messa a coltura e di estrazione dell’olio, affiancate da mappe sulla diffusione storica dell’olivicoltura. Le sale successive, ambientate nei locali che furono già sede di un frantoio attivo fino a pochi decenni fa, ospitano una ricca documentazione relativa alla storia e all’evoluzione delle macchine olearie: dai primi mortai in pietra del V millennio a.C. all’introduzione del trapetum (la vasca di origine greca, utilizzata dai romani, in cui si muovono le due ruote emisferiche), sino al richiamo ai più moderni impianti e all’invenzione del sistema “a ciclo continuo” che ha segnato l’avvio per la nuova elaiotecnica. Il percorso prosegue nei due piani superiori, dove la presenza dell’olio e dell’olivo nel quotidiano, gli usi e le valenze ad essi attribuiti nel corso del tempo sono documentati in sezioni: l’origine mitologica della pianta, il rilievo dell’olivicoltura, dall’economia romana alla ripresa medievale sino ai secoli recenti, l’olio come fonte di illuminazione, nelle religioni monoteiste mediterranee, nella medicina e nell’alimentazione, nello sport, nella cosmesi, come fonte di riscaldamento e come elemento significativo di un immaginario popolare che alla pianta e al prodotto derivato dal suo frutto ha attribuito – e in parte ancora attribuisce – valenze simboliche, propiziatorie, apotropaiche e curative.
Il Museo è diretto dalla storica dell’arte e archivista Maria Grazia Marchetti Lungarotti.