di Marco Brunacci
PERUGIA – Lo sbilancio della sanità dell’Umbria è di 65 milioni di euro. Non 200, tantomeno 250. Volendo fare un raffronto con le Regioni vicine il dato è ancora più chiaro: la Toscana supera i 500 milioni, l’Emilia Romagna i 700. Non stiamo a dire del Lazio che ha il commissario alla porta.
È tempo di bilanci della sanità. L’Umbria – come aveva avvertito Umbria 7 – non era certo il cattivo esempio, come voleva certa opposizione che forse ha fatto “cassa” di consensi ma ha tirato nell’acqua le sue cannonate, come successo col Covid.
I 65 milioni sono dovuti in gran parte (40 milioni) alla mobilità passiva: i pazienti umbri vanno a farsi curare fuori regione e quasi nessuno fa invece il percorso opposto.
Segno che bisogna fare campagna acquisti di medici attrattivi, segno che bisogna cambiare leggi regionali assurde che vietano di fare attività intramoenia fuori dagli ospedali o intramoenia fuori dalla regione. Ma lo si deve fare non per compiacere primari, ma per poter investire sulla salute di tutti. Ecco una battaglia seria da fare per l’opposizione.
E qui comunque sta il nodo: la sanità pubblica è arrivata a un punto di non ritorno. Sono necessari più soldi. La presidente Tesei, a nome di tutte le regioni italiane, ha chiesto di poter operare il riequilibrio sui bilanci regionali, attraverso uno spalmadebito in dieci anni, consentendo così di sistemare le pendenze.
Ma la verità è che c’è una sola strada, indicata dal presidente della commissione sanità del Senato, Franco Zaffini: «Se si vuole mantenere una sanità pubblica e generalista, servono più risorse pubbliche». Quindi una reale implementazione del Fondo sanitario nazionale.
E va detto subito che il credo dell’Umbria è più che mai nel pubblico: l’88% dei posti letto sono nella sanità pubblica, altro che fughe nel privato. Ma a questo punto si pone la questione del finanziamento di questo grande sforzo.
La produttività della sanità va aumentata. È certo. Come è sicuro che devono aumentare anche i soldi del Governo. Da qui non se ne esce.